Valentina Murrocu, L’altro mondo

da | Mar 20, 2020

Pubblichiamo quattro poesie inedite di Valentina Murrocu (Nuoro, 1992). Laureanda in Storia e Filosofia presso l’Università degli Studi di Siena, Valentina ha pubblicato nel 2018 la sua opera prima di poesia, La vita così com’è, per le Marco Saya Edizioni.

Nouveau Réalism

Ho aperto uno spazio tra la lampada
e il soggiorno, per vedere se ciò
che è illuminato è meno oscuro
da comprendere, sono rimasta
in silenzio ad osservare gli oggetti
nella stanza, li ho fissati nel tempo.

Ad un tratto, frammentata, qualcosa
dice che è la memoria collettiva,
la pila di piatti ad asciugare,
le posate, i bicchieri rubati nei pub
non hanno vita propria, esistono

nella percezione di chi guarda i piatti,
le posate, i bicchieri, le immagini
che tratteniamo si fissano all’interno,

come in una faglia o in un gheriglio.

Mentre rollo il tabacco e apro la finestra
la luce che penetra mi rivela
che questi oggetti sono miei.

(Guardo al lato affettivo, guardo
alla luce: la vita presa sub specie imaginis.)

 

La vita biologica

(L’oleandro sulla centotrentuno,
gli atomi che si urtano nella corsia,
la svastica contro il guardrail:
queste immagini che rappresento
mi vengono incontro come ai
filosofi, chiedo loro una voce.)

La macchina è in avaria, adesso
il triangolo significa il pericolo,
le cinture prima dell’arrivo,
la tecnologia come una maschera,
l’oncologia come una maschera, anche.

La macchina riparte, il cero acceso
a San Domenico dà significato
al dolore degli altri,
scompare la pena per la vita,
scompare il cielo, le ossa nella teca.

Ora che l’Oca si aggrega, soltanto
adesso vedo quelle immagini
come qualcosa di più alto, mentre
la vita biologica è tutto ciò che esiste,
se il cuore è il primo a formarsi.

 

L’altro mondo

Se alle cinque e mezza mi sveglio
e il vento si dissolve contro la finestra
il giardino mi appare inumano,
a quest’ora tutto rimanda alle foglie cadute,
se spremo a mano le arance per non fare rumore,
perché il giorno dica qualcosa.

C’è nelle prime luci un appiglio
all’altro mondo, sempre reale, nascosto:
il mondo interno si affaccia
senza schermi, ma mento:
c’è solo una cosa che vivifica il tutto,
non c’è niente di divino o accurato.

Se guardo Milano, ora che sto bene,
vedo la linea della metro rimandare ai profili
delle case, se scendo a Porta Venezia,
se parlo davanti agli altri, è perché
questi non mi sentano.

Ora sono qui, lo spazio mi apre
una riflessione pulita, mentre i solchi
del cranio sono quel che c’è.

 

Waterloo

Il mare è piatto, le luci del porto
lontane, la vita giunge allora,
nelle parole appena pronunciate,
contro gli oblò, d’inverno,
nel sollievo di essere umani.

Stavi fermo, «non svegliamo
gli altri», «poggiati», prima della tempesta,
se il mondo esce dal bar e si frantuma
in specchi e sedie, prima di Waterloo,
dopo la partenza, adesso, in questa calma
che cresce, mentre mi guardo scompormi
in forme e colori e non c’è
niente che mi sostenga.

Ora che la nave si avvicina in porto
vedo le luci riflesse dalla superficie
unirmi al mare, la vita che traspare dalla fauna,
la vertigine contro il parapetto,
verso gli altri, siamo scesi, ora viviamo.

Forse questo tendere al vuoto non è che sole
che si sfalda a contatto con i padri,
se non parliamo, se guardiamo senza vedere,
adesso, con il mattino che avanza,
una serie di notizie ci riporta alla vita reale:
l’uragano Florence, l’11 settembre, Salvini.

Le minime vendette private non ci toccano:
se osservo la città sono viva.

 

Immagine: Art Basel Online Viewing Rooms, 18 – 25 March 2020 https://www.lissongallery.com/