Jordi Doce, Un ramo per Runa

da | Lug 9, 2019

Pubblichiamo alcune traduzioni, a cura di Stefano Prandel, di Jordi Doce da Lección de permanencia, Valencia, Pre-Textos, 2000. Jordi Doce (Gijón, 1967) si è laureato in Filologia Inglese all’Università di Oviedo ed è stato lettore di spagnolo all’Università di Oxford. La sua raccolta poetica più recente è intitolata No estábamos allí (Pre-Textos, 2016; considerata come miglior libro di poesia dell’anno da El cultural). Ha tradotto William Blake, T.S. Eliot, W.H. Auden, Charles Tomlinson e Anne Carson, tra gli altri, e ne ha riunito di recente le sue versioni commentate in Libro de los otros (Trea, 2018), seguito da una raccolta di letture di poesia angloamericana in La puerta verde (Arenas movedizas, 2019).

I

Runa giunse al mio sogno senza avviso.
Tremolante di luce e febbre lenta,
Runa attraversò le strade e le piazze
del mio fermo ritirarmi dalla vita.

II

Prima che tu venissi
l’assenza era la forma del mio corpo.
Non lo spazio segnato attorno al nulla
ma lo spazio del nulla,
vuoto incavato,
fondo privo di fondo dello specchio
dinanzi alla fissità del suo eguale.

III

Gli occhi di rame e le labbra socchiuse,
Runa che giunse da così lontano,
a un passo dall’offrire la parola
che vestisse l’attesa e il desiderio,
nella città di niente e di nessuno,
nelle strade dal battito preciso
che erano il mio teatro d’abitudine.
Runa nell’aria, nel fulgore ardente
dell’aria, sull’uscio della parola
che tessé il nostro incontro
sotto la tela della meraviglia.
Spettrale Runa, Runa intatta
nelle parole che adesso incastono,
che adesso mi fanno e ti dicono
perché con te vennero da lontano,
lunga notte sola senza ragione
sulla soglia dell’alba del tuo nome.

IV

A volte penso, Runa,
che la notte fu nostra, condivisa,
che tu stavi con me nel denso buio
senza il nome indelebile
che scelse il mio stupore,
che il mio desiderio ti diede forma
con un colpo fatale dello sguardo,
che sei venuta a me senza comprendere,
o addirittura presagire,
che io stavo già nel tuo palpitare.

V

Chi pronunciò il tuo nome
nel silenzio?
O sono stati sangue e desiderio
a spezzare la quiete,
a sfuggire al nulla,
ansiosi di trovarti
per ascendere, ombra o sangue,
fino ai tuoi occhi?

VI

Sulle tue labbra scende il volatile dell’aria,
là dove al ritmo incendiato delle ali
sto tessendo il tuo nome.

VII

Non c’è più grande abbraccio
che il nulla o nessuno
che mai c’è appartenuto,

eppure tu giungesti
alla sconfitta notte
del mio vagare
e fosti alito, nuova cinta,
abbraccio della luce
in cui mi trasformavi,

mentre il tempo innalzava
sull’antica aridità del corpo
la spiga intrecciata del desiderio.

VIII

Prigioniera nelle strade che annoda il desiderio,
non puoi tu immaginare a quale verità
di te io sono giunto,
camera della voce o alito chiuso
da cui affermi la vita più in là di questa vita,
da cui, frutto celato sul fondo delle fronde,
tu respiri o dimori in me senza saperlo.

***

I

Runa llegó a mi sueño sin aviso.
Con un temblor de luz y fiebre lenta,
Runa cruzó las calles y avenidas
de mi tenaz retiro de la vida.

II

Antes de que vinieras
la ausencia era la forma de mi cuerpo.
No un espacio trazado en torno a nada,
sino el espacio de la nada,
hueco ahuecado,
impasible fijeza del espejo
ante el fondo sin fondo de su igual.

III

Ojos de cobre y labios entreabiertos,
Runa llegada de tan lejos,
aun paso de ofrecer esa palabra
que vistiera mi espera y mi deseo
en la ciudad de nada y de ninguno,
en las calles de pulso detenido
que fueron mi teatro de costumbre.
Runa en el aire, en el fulgor candente
del aire, en el umbral de la palabra
que urdiera nuestro encuentro
bajo la tela del asombro.
Aparecida Runa, Runa intacta
en las palabras que ahora engarzo,
que ahora soy y te dicen
pues vinieron contigo de tan lejos,
larga noche sin nadie y sin razón
en el umbral del alba de tu nombre.

IV

A veces pienso, Runa,
que l anoche fue nuestra, compartida,
que tú estabas conmigo en la negrura
sin el nombre indeleble
que eligiera mi asombro,
que mi deseo te dio vida
con un golpe fatal de la mirada,
que tú viniste a mí sin entender
o sospechar siquiera
que yo ya estaba en tu latido.

V

¿Quién pronunció tu nombre
en el silencio?

¿O fue mi sangre y su deseo
quien rompió la quietud,
quien huyó de mi nada
ansiosa por hallarte
y ascender, sangre o sombra, hasta tus ojos.

VI

En tus labios el pájaro del aire.
Su descenso a lo más hondo del aire,
donde al ritmo incendiado de sus alas
voy urdiendo tu nombre.

VII

No hay abrazo mayor
que la nada o ninguno
que jamás poseímos,

mas tú llegaste
en la vencida noche
de mi errancia
y fuiste aliento, nuevo cerco,
abrazo de la luz
en que me convirtieras,

mientras el tiempo alzaba
sobre el antiguo erial del cuerpo
la espiga entrelazada del deseo.

VIII

Prisionera en las calles que anuda mi deseo,
no eres quien a imaginar, no puedes,
a qué ha llegado mi verdad de ti,
estancia de la voz o aliento amurallado
donde afirmas la vida más allá de esta vida,
donde, fruto sumido al fondo del ramaje,
tú respiras o habitas en mí, aunque lo ignores.