Un posto di vacanza

da | Apr 8, 2017

I

Un giorno a più livelli, d’alta marea
– o nella sola sfera del celeste.
Un giorno concavo che è prima di esistere
sul rovescio dell’estate la chiave dell’estate.
Di sole spoglie estive ma trionfali.
Così scompaiono giorno e chiave
nel fiotto come di fosforo
della cosa che sprofonda in mare.

Mai la pagina bianca o meno per sé sola invoglia
tanto meno qui tra fiume e mare.
Nel punto, per l’esattezza, dove un fiume entra nel mare.
Venivano spifferi in carta dall’altra riva:
_______________________________Sereni esile mito
filo di fedeltà non sempre giovinezza è verità
……………….………….
Strappalo quel foglio bianco che tieni in mano.
Fogli o carte non c’erano da giocare, era vero. A mani vuote
senza messaggio di risposta tornava dall’altra parte il [traghettatore.

Un fiume negro – aveva promesso l’amico –
un bel fiume negro d’America.
Questo era il dato invogliante. Opulento a fine corsa
pachidermico
__________in certe ore di calma.
_________________________Era in principio solo canne
polverose e, dalla foce, mare da carboniere…

Chissà che da lì traguardando non si allacci nome a cosa
…(la poesia sul posto di vacanza).
Invece torna a tentarmi in tanti anni quella voce
(era un disco) di là, dall’altra riva. Nelle sere di polvere e [sete
quasi la si toccava, gola offerta alla ferita d’amore
sulle acque. Non scriverò questa storia.

Al buio tra canneti e foglie dell’altra riva
facevano discorsi: sulla – è appena un esempio –
retroattività dell’errore. Ma uno di sinistra
di autentica sinistra (mi sorprendevo a domandarmi)
come ci sta come ci vive al mare?
Sebbene fossero (non tutti) più forti rematori nuotatori di [me.
Anno: il ’51. Tempo del mondo: la Corea.
Certe volte – dissi col favore del buio – a sentire voi parlare
si sveglia in me quel negro che ho tradotto:
«Hai cantato, non parlato, né interrogato il cuore
delle cose: come puoi conoscerle?» dicono ridendo
gli scribi e gli oratori quando tu…
Ma intanto si disuniva la bella sera sul mare
e sui discorsi sui tavoli sui recinti di canne
dove ballavano scalzi el pueblo del alma mia
si dichiarò autunnale il tocco delle foglie
confusione e scompiglio sulla riva sinistra.

Qua sopra c’era la linea, l’estrema destra della Gotica,
si vedono ancora – ancora oggi lo ripeto
ai nuovi arrivi con la monotonia di una guida –
le postazione dei tedeschi.
Dal Forte gli americani tiravano con l’artiglieria
e nel ’51 la lagna di un raro fuoribordo su per il fiume
era ancora sottilmente allarmante,
qualunque cosa andasse sul filo della corrente
passava per una testa mozza di trucidato.
Ancora balordo di guerra, di quella guerra
solo questo mi univa a quei parlanti parlanti
e ancora parlanti sull’onda della libertà…

II

Tornerà il caldo.
Va a zero la bolla di colore estivo, si restringe su un [minimo
punto di luce dove due s’imbucano spariscono nel [sempreverde
dando di spalle al mio male
– e io al mare – e sull’attimo
di cecità di silenzio si dilata uno sparo.
Chi ha fatto chi fa fuoco nella radura chi
ha sparato nel folto tra campagna e bosco
lungo i filari?
____________Di qui non li vedo,
solo adesso ricordo che è il primo giorno di caccia.
Non scriverò questa storia – mi ripeto, se mai
una storia c’era da raccontare.
__________________________Sentire
cosa ne dicono le rive
(la sfilata delle rive
_______________le rive
____________________come proposte fraterne:
ma mi avevano previsto sono mute non inventano niente [per me).
Pare non ci sia altro: il mio mutismo è il loro.
Ma il sogno delle canne, le canne in sogno ostinate
a fare musica d’organo col fiume…
sono indizi di altre pulsazioni. Vorrei, io solo indiziato,
vorrei che splendessero come prove – io una tra loro.
Una infatti si accende
a ora tarda
_________lo scherno della luna ancora intatta
inviolata
________sulla nera deriva sul tramestìo delle acque.
Sul risucchio sul nero scorrimento
altre si accendono sulla riva di là
– lampade o lampioni – anche più inaspettate,
luci umane evocate di colpo – da che mani
su quali terrazze? – Le suppongo segni convenuti
non so più quando o con chi
per nuove presenze o ritorni.
– Facciamo che da anni t’aspettassi –
da un codice disperso è la mia controparola.
Non passerà la barriera di tenebra e di vento.
Non passerà il richiamo già increspato d’inverno
a un introvabile
_____________traghettatore.
Così lontane immotivate immobili
di là da questo acheronte
non provano nulla non chiamano me
né altri quelle luci.

Tornerà il caldo.
Guizza frattanto uno stormo di nuove ragazze in fiore
lasciandosi dietro un motivo:
dolcetto con una punta di amaro
tra gli arenili e i moli ritorna, non smette mai,
come ogni cosa qui
si rigira si arrotola su sé. Di là dagli oleandri,
mio riparo dalla vista del mare,
là è la provocazione e la sfida –
un natante col suo eloquio
congetturante:
confabula dietro uno scoglio sale di giri vortica via
triturando lo spazio in un celeste d’altura
con suoni di officina monologa dialoga a distanza –
un’officina liquida, un deliquio
itinerante
si sagra agostana in mortorio di fine d’estate –
_______________________________________e l’onda
rutilante, oceanica
con bagliori di freddo sul frangente
obliquo a invetriare sguardi e voci nell’estate tirrenica…
qui si rompe il poema sul posto di vacanza
travolto da tanto mare –
e vinto il naturale spavento
ecco anche me dalla parte del mare
fare con lui tutt’uno
senza zavorra o schermo di parole,
fendere il poco di oro che rimane
sulle piccole isole
postume al giorno tra le scogliere in ombra già:
ancora un poco, ed è daccapo il nero.

III

«memoria che ancora hai deisideri»
dici che non l’intendi – o, se l’intendi, non l’ami

I due che vanno lungo il fiume azzurri e bianchi
cosa mai si diranno? Allacciati o disgiunti
da anni li vedo passare
danzanti nel riverbero e nel vento.
Ritta sulla vertigine, estatica indugiando con lo sguardo
sulle colline prossime e più lontane rupi,
a dito segnando in controluce città
che forse furono e non saranno mai –
«Tutto questo,» dice la donna, «ti darò
se prosternandoti mi adorerai».
Ma l’uomo, ìmpari al sogno e alla sopraffazione
si disanima presto, non li solleva una musica più.
___________________________________E quasi niuna
di queste cose stata fosse, torna
lei quello che stata era:
un’ombra del sangue e della mente
e verso la marina
in picciola ora si dileguarono.

È il teatro di sempre, è la guerra di sempre.
Fabbrica desideri la memoria,
poi è lasciata sola a dissanguarsi
su questi specchi multipli.
_______________________Ma guarda
– tornano voci dalla foce – guarda da un’ora all’altra
come cambiano i colori: di grigio in verde, di verde
in freschissimo azzurro.
Amalo dunque – da cosa a cosa
è la risposta, da specchiato a specchiante –
amalo dunque il mio rammemorare
per quanto qui attorno s’impenna sfavilla si sfa:
è tutto il possibile, è il mare.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).