Tutto il mondo è vedovo

da | Nov 11, 2015

Tutto il mondo è vedovo

Tutto il mondo è vedovo se è vero che tu cammini ancora
tutto il mondo è vedovo se è vero! Tutto il mondo
è vero se è vero che tu cammini ancora, tutto il
mondo è vedovo se tu non muori! Tutto il mondo
è mio se è vero che tu non sei vivo ma solo
una lanterna per i miei occhi obliqui. Cieca rimasi
dalla tua nascita e l’importanza del nuovo giorno
non è che notte per la tua distanza. Cieca sono
ché tu cammini ancora! cieca sono che tu cammini
e il mondo è vedovo e il mondo è cieco se tu cammini
ancora aggrappato ai miei occhi celestiali.

***

Tutto il mondo è vedovo chiude le Variazioni belliche di Amelia Rosselli, una fra le più importanti raccolte poetiche del Novecento letterario italiano (1964). Come ha ricordato Alberto Casadei, l’autrice riteneva questa composizione particolarmente rappresentativa, quasi una ricapitolazione del suo primo libro. Oltre a un’apparente assenza di strutture metriche e rimiche riconoscibili, la prima cosa che «aggredisce» il lettore è una pronuncia vaticinante, apodittica, sottolineata dalla potente azione dell’anafora (a cominciare, più volte, con «Tutto il mondo è», per proseguire poi, in due casi, con «Cieca»). Non senza che però agisca sul fondo, ha sottolineato Laura Barile, l’eco della tradizione shakespeariana, con il Sonetto 9, verso 5: «The world will be thy widow» («Il mondo sarà la tua vedova»). Ma al dunque, con la sua disperata foga, che cosa vuole dire questa poesia?

Io credo che essa esprima, sostanzialmente, proprio la sua disperatissima foga. L’urgenza primaria è in effetti di carattere formale, dinamico, e riguarda, come ha mostrato lo stesso Casadei, l’impossibilità di un avvicinamento definitivo all’oggetto amato, e insieme «la fuoriuscita dalla razionalità consueta». In tal senso, ha spiegato Pier Vincenzo Mengaldo, il testo rappresenta un abbandono al flusso buio e labirintico della vita psichica e dell’immaginario.

Piccola nota a margine. Il lettore avrà osservato come in questa scheda abbondino le citazioni della critica. La ragione risiede nella difficoltà di un’opera la quale, al discorso normato, normale e normalizzato, contrappone un uso sistematico del lapsus. Lapsus, ha sottolineato Antonella Anedda, in quanto «scarto di una parola verso una terra contigua, prossima, ma in qualche modo inesplorata». Appunto in quanto «illuminazione che si dilata e rivela qualcosa di impossibile», tale smagliatura linguistica trasforma la perdita del controllo verbale di cui si è detto, in sorprendente incremento conoscitivo.

Una scelta del genere può essere ricondotta ad alcuni fattori extra-letterari. Infatti, sul versante biografico dell’autrice, bisogna ricordare da un lato la sua infanzia di esule e figlia di un intellettuale assassinato (l’antifascista Carlo, fratello di Nello Rosselli), dall’altro la particolarissima formazione culturale. Se le peripezie di apolide e fuggiasca, per di più di origini ebraiche, furono talmente strazianti da deformarne la vita conducendola fino al suicidio, la sua educazione risultò estremamente ricca e articolata. Divisa tra Francia e
Inghilterra, Stati Uniti e Italia, la poetessa si distinse sia per il suo marcato plurilinguismo (italiano, francese e inglese), sia per la profonda conoscenza del linguaggio musicale (che ebbe modo di perfezionare nei corsi estivi della celebre scuola tedesca di Darmstadt, ascoltando opere di Karlheinz Stockhausen, John Cage, Pierre Boulez e Luigi Nono). Da tali incontri intellettuali nascerà lo scritto teorico Spazi metrici, basato su una rigida concezione della forma. Quanto ai riferimenti strettamente letterari, basterà ricordare, con Alessandro Baldacci, i debiti contratti da Amelia Rosselli nei confronti di Petrarca (letto magari attraverso Mallarmé), oppure, per venire al Novecento, verso Gottfried Benn, Sylvia Plath, Ingeborg Bachmann, Samuel Beckett e infine, sebbene solo nell’ultimo periodo, Paul Celan – autori, questi ultimi due, anch’essi a cavallo fra più lingue.

E qui giungiamo a un’importante questione interpretativa. È cioè necessario puntualizzare che, all’elemento magmatico e ingovernabile così potente nella sua scrittura, si oppone una forza contraria. Come ha notato per primo Pier Paolo Pasolini, l’arte della Rosselli appare infatti segnata dalla convulsa ricerca di un rapporto fra qualcosa di indescrivibile (perché psicologicamente insopportabile) e qualcosa di oggettivo (chiamato a strutturare un’esperienza altrimenti condannata al silenzio). In tal senso, Cesare Cata ha ribadito che i versi della scrittrice non hanno nulla a che vedere con l’informe, poiché essa non concepisce la poesia al di fuori di una precisa regolarità. Di conseguenza, lo stravolgimento-superamento dell’assetto tradizionale non implica affatto l’abbandono di una norma, quanto piuttosto il reperimento di una norma nuova. Tutto questo perché, come si è visto, il nucleo di simili versi è costituito dalla pressione di una pena insostenibile: «Ecco allora che la rigidità della forma si fa necessaria per dare forma, appunto, a ciò che forma non può avere: la mostruosità del dolore. Quella di Amelia Rosselli è una poesia che nasce per trasformare in forma strofica fissa, l’informalità di una sofferenza umana inconfessabile».

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).