Stelle tardive

da | Apr 22, 2017

Alcune poesie da Stelle tardive, volume da poco uscito per Giometti&Antonello che propone poesie e prose di Arsenij Tarkovskij nella traduzione di Gario Zappi.

Il bosco di Ignat’evo

L’ardore delle ultime foglie in autocombustione totale
si leva al cielo, e sul tuo cammino
il bosco intero vive di un’eccitazione
pari a quella che viviamo quest’ultimo anno.

Negli occhi colmi di pianto si riflette la via
come nella golena oscura si riflettono gli arbusti.
Non fare i capricci, non minacciare, non toccare,
non turbare la quiete del bosco sul Volga.

Puoi udire il respiro della vecchia vita:
funghi viscidi crescono nell’erba bagnata,
i lumaconi li hanno rosi fino al cuore
ma una smania umidiccia ne vellica la pelle.

Il nostro passato è tutto simile a una minaccia:
bada, ora torno, bada, ora ti uccido!
Il cielo rabbrividisce e tiene l’acero come una rosa:
che bruci di più, quasi sugli occhi!

*

Il manoscritto

Ad A. A. Achmatova

Ho finito il libro e ho messo il punto,
non ho potuto rileggere il manoscritto.
La mia sorte si è consumata tra le righe
mentre l’anima mutava la scorza.

È così che il figliol prodigo si strappa la camicia dalle spalle,
è così che il sale dei mari e la polvere delle vie terrene
sono benedette e maledette dal profeta
andato da solo incontro agli angeli.

Sono colui che è vissuto nel proprio tempo
senza essere sé. Sono il minore della famiglia
degli uomini e degli uccelli, ho cantato assieme a tutti gli [altri,

e non lascerò il banchetto dei viventi:
blasone autentico del loro onore di famiglia,
vocabolario diretto dei loro legami alla radice.

*

Presso il mare d’Azov

Uscii alla stazioncina. La ghisa riposava
tra dense volute di vapore oleoso. Era
un re assiro dagli svolazzanti riccioli a grappoli.
La steppa s’aprì, e come nell’antro del vento
vi fu risucchiata la mia anima. Alle spalle
non avevo più capanne d’argilla: le torri lunari all’intorno
fluttuavano consolidandosi fin sull’orlo della terra,
la notte svolgeva da un vano all’altro
la sua tela spessa, ravvolta strettamente.
La mia giovinezza s’allontanò da me, e un sacco
mi curvò le spalle. Sciolsi le corde, e versai
il sale sul pane, e sfamai la steppa, e con la settima parte
di quanto restava saziai il mio corpo paziente.
Dormii, mentre al mio capezzale si raffreddavano
le ceneri dei sovrani e degli schiavi, e ai miei piedi stava
la coppa con le plumbee lacrime d’Azov.
Sognai tutto ciò che mi sarebbe accaduto.
La mattina mi destai, chiamai terra la terra,
e offersi il mio petto ancora debole all’arsura.

*

Il mondo cercò d’afferrarmi, ma non mi prese.
Autoepitaffio di Grigorij Skovoroda

Ove i kurgan baciavano la steppa
col volto nell’erba come i gobbi,
ove i tamburi rullavano incessanti
e alzavano nubi polverose gli armenti,

ove i buoi cullavano sulle corna
il sole stepposo del carrettiere,
ove dell’amara melassa della mestizia
fumava il fuoco di kisiak,

ove dormivano gli idoli di pietra
nel calendario dei tempi passati
e di notte convenivano i rospi
a rendere omaggio ai piedi loro appiattiti,

là m’aprivo il passo al mare d’Azov:
a torso nudo, contro il vento riarso,
a piedi nudi, scendevo a sud al richiamo
della mia sorte raminga.

Calpestavo la timelea del mio paese natio,
non rammento più dove dormivo,
vivevo imitando senza volerlo
Grigorij Skovoroda.

Sgranocchiavo il suo benedetto
santo biscotto di pietra,
ma sul volto del mio universo
egli passò prima di me, come un re.

Dinanzi a lui le reti ammalianti
mutavano vane di colore in colore.
Ma le amavo queste maglie di rete
e tuttora non ho la libertà.

Non so capacitarmi della maestosità
dei suoi pensieri felici.
Ma donami il canto di un uccello
e la steppa, non so perché.

Forse che di là, giunta la mia ora,
alla luce di stelle tardive,
benedetto il mistero terreno,
potrò tornare al camposanto natio?

*

Sono un’ombra tra quelle ombre che una volta
bevuta l’acqua terrena non hanno spento la sete
e tornano sul proprio cammino pietroso,
turbando i sogni dei vivi, per bere un po’ d’acqua viva.
Come la prima nave dal grembo dell’oceano,
come la barca sacrificale che esce dal kurgan,
così io salirò sulla scala fino al gradino
ove m’attenderà la tua ombra viva.
– Ma se è una menzogna, se è una fola,
se non è un volto ma una maschera di gesso
a fissare ognuno di noi da sottoterra
colle dure pietre dei propri occhi illacrimati…

*

Il manichino

Nello studio del pittore siede un manichino
di legno, snodato, tutto articolato,
nudo come la verità, con fori profondi
al posto delle giunture dei gomiti e delle ginocchia.

Si sente odore di colla e di putredine, si sentirà quello della [trementina:
il pittore ha già teso la tela.
Chi diverrai, o modello? Non è forse lo stesso
se non sei vivo e posi per nulla?

Ah, non è forse lo stesso! Lo sfondo è lilla,
turbina il nero contorno sotto il pennello arruffato,
con le banconote il pennello, con la gloria il colore.
Per le arti a lei sorelle mancano alla poesia le parole.

Chi ti è padrone: un genio, un mediocre, un acciarpone?
Non lo consegnerò alla fama calunniatrice
poiché è dalla creta che fu creato Adamo,
e tu sei immagine di Adamo, modello che posi per nulla.

Ma io stesso chi sono se vagano piangendo qui attorno
nelle giunture e nei fori lo spazio ed il tempo,
e depongono una corona stellata sul sincipite
e sulle fragili spalle una croce profetica?

*

L’orbita

I
Nell’universo il nostro intelletto felice
innalza una dimora insicura.
Uomini, animali e angeli vivono
della sua sferica tensione.
Non abbiamo ancora concepito il bambino
che sotto i piedi già gli s’inarca
verso il nulla una membrana
sulla sua orbita circolare.

II
Il nostro sangue non è geloso della casa,
ma s’apre uno squarcio nel futuro
poiché quanto è terreno a ciò che è terreno
pone un limite qui sulla terra.
Alla madre impazzita appare in sogno
lo stridore della quadriga,
Fetonte, e il suo cocchio,
e i purpurei cubi di pietra.

III
Sullo spazio e sul tempo dall’alto
porremo le palme delle mani,
ma capiremo che nella corona del potere
è più preziosa la stella della miseria,
della miseria, dell’inanità, delle preoccupazioni
per il proprio amaro tozzo di pane,
e con le costellazioni aliene faremo
i conti sulla madre terra.

*

Si sentono il ferro e il marciume delle patate,
la polvere dei lager27 e il sale delle alici.
Dov’è il tuo nome, dove le tue ali?
Il Vij28 si rizza i baffi alla tartara.
Chi sei ora? Né una croce, né una traccia,
la chiatta borboglia sul fiume fondo,
cielo nero e argilla pestata
d’una focaccia cruda nella mano.
Dice: sollevatemi le palpebre!
Segna i villaggi col dito di ferro,
la terra rugginosa e gli ontani sciancati
li segna e li annienta colla fame.
Dice: sollevatemi le palpebre!
Come non sollevargliele, moriresti per niente.
Dỳrbala-àrbala-dàrbala-àrbala,
non si riesce a capire che altro borbotti.
Ti lega da vivo i tendini in un nodo,
con lo scorbuto della tajga gioca d’azzardo,
si spande in gelo sull’assenzio,
se ti sbatte nel fosso, addio, caro mio.

1946-1956

*

1914

Da bimbo mi facevano paura le piante:
il loro fogliame mi strillava alle orecchie,
dalle finestre entravano come ombre
le loro anime ostili.
Capitava che già a maggio
festeggiassero il proprio sabba. A luglio –
l’una spezzando gli steli, i rami l’altra –
si mettevano in cammino ubriache:
l’acacia, il luppolo, la pulmonaria,
il verbasco, il rìcino,
il farfaro, il frassino, l’acetosella,
il tremolo, la frangola, il viburno…
Le une come spalle zingaresche,
con fischi di cosacchi le altre.
La tempesta qua e là per la Russia
scagliava loro dei bengala.
Ed era soltanto l’inizio.
Irretita in una lite funesta,
quell’estate la sorte cinse
d’una corona di dolore il nostro popolo.

1976

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).