«SEGUÌTO DA UNA PICCOLA CORTE»: DIECI POESIE DI LEONARDO SINISGALLI

da | Mar 9, 2020

Da Tutte le poesie, a cura di Franco Vitelli, Mondadori, Milano 2020. Selezione a cura di Dario Bertini.

Da “Vidi le Muse. Poesie (1931-1942)”(Mondadori, Milano,1943)

Lazzaretto

Sul gambo teso è sazio il girasole,
Così il peso del giorno è in questo poco
Spazio di terra, fresca
Tomba alle membra, gremita
D’ombra che mi oscura la via
Dove tornerò sempre.
La sera mi porta lungo la muraglia
Ancora un riverbero fioco
Di quella perduta forza,
E ha un ritorno d’allegria
Sui bordi del prato il fuoco
Che stizza le labili liste di paglia.

 

Da “L’età della luna, 1956-1962” (Mondadori, Milano, 1962)

Può bastare poco

Può bastare poco a riprendere fiato,
uno slancio puerile, un impeto a vuoto.
Non conosco le strade che calpesto,
i muri che rasento sconosciuto.
Come un ebete urlo a mani alzate.
La vita non l’ho combattuta.
Ho schiacciato la miccia sotto i tacchi,
ho franto i fiori tra le dita.
E non mi accosto più
ai vecchi affetti, alle insegne abbattute.
Io allargo intorno il vuoto.

 

Una camera a Milano

Io, forse, non esisto.
Non devo riempire la vita
di cose, di corse.
Appena mi ricordo di un altro.
Qui pianse per terra bocconi,
qui, dove sto ore e ore,
c’è un sibilo tra i balconi
e, dietro, la città.

 

Epilogo

Non dovremmo incontrarci
mai più, mai più
guardarci negli occhi.
Abbiamo gli stessi tic,
le stesse velleità.
Amici, siamo tutti vecchi,
abbiamo l’età della luna.

 

Da “Il passero e il lebbroso, 1962-1970” (Mondadori, Milano, 1970)

Autunno

Le mosche sembrano
felici di rivedermi.
Strisciano sulle stanghette
degli occhiali, saltano
sulla punta delle orecchie.
Il foglio bianco le affascina.
Parlo, le accarezzo,
le raccolgo nel pugno,
le chiamo di nome
Fantina Filomena Felicetta.
Mi illudo che siano
sempre quelle.

 

Due poesie per la fine dell’estate

1

Torno alle mie storture,
alle mie fandonie.
Torno alle stanze vuote,
ai miei terrori.
Mi porto dietro le confidenze,
di una formica
e carte di petunie e di begonie.
Troverò qualche bene
per l’inverno che viene.
Mi contenterò di una mollica.

2

Mi riabituo a sopportare il semibuio
delle stanze tappate.
Mi stendo semicieco sui tappeti.
Resto immobile lunghe ore.
Odo lo sterminio delle bottiglie
vuote nel corridoio seminterrato,
il trillo del venditore di piumini,
gli appelli reiterati
di un telefono nel condominio.
In dormiveglia supino
guardo in alto la larva
di un cane che vola.

 

Da “Mosche in bottiglia” (Mondadori, Milano, 1975)

La luna di San Martino

Sono un vecchio ebete
al tavolino incantato
a mirare la luna
che s’impenna e scompare
col suo cagnolino.
Il cielo l’ho guardato poco
da giovane distratto dalla vita.
Non c’era spazio per la riflessione.
Non mi muovo più,
non mi volto indietro,
starò tutta la notte
davanti a questo vetro.

 

Da “Dimenticatoio, 1975-1978” (Mondadori, Milano, 1978)

La corte

Mi muovo seguìto da una piccola
corte:le mosche viaggiano
negli spazi morti, l’astuccio
degli occhiali, la punta delle scarpe.
Volano appena mi chino
sui quaderni: sono malate
di letteratura, le rapisce l’odore
della scrittura.

 

I tuoi segni

Riguardo quando non ci sei
gli scartafacci toccati dalle tue dita,
i fogli con le impronte dei giorni
bui, delle ferite dolenti.
Guardo le carte miracolosamente
riavute (gli editori sono a caccia
di farfalle sul lungotevere),
draghi gioiosi, tronchi
capelluti, metafore fiammanti, e
mi esalto e mi dispero
perché è morta la tua mano.