Rompighiaccio – Poeti cechi contemporanei /4

da | Mar 10, 2017

Ledolam (Rompighiaccio) è una raccolta di poesie scritte da Petr Halmay tra il 2005 e il 2011. Sono componimenti brevi, sintetici, la cui intensità inesorabile scaturisce dall’equilibrio tra gli strumenti formali e un lirismo fondato sul costante confronto di elementi. La traduzione integrale qui proposta tenta di rispettare questa compenetrazione, che mostra una notevole sintesi linguistica e un’attenta disposizione dei nuclei di significato nei versi liberi. Ogni componimento è suddiviso in modo irregolare in piccole strofe –  perlopiù distici, quartine e gruppi di cinque versi – interconnesse ma rese indipendenti da forti cesure. Il significato della singola strofa prevale in modo evidente su quello del singolo verso; l’autore interviene con un continuo utilizzo di figure di suono – assonanze, allitterazioni, rime interne – per conferire compattezza a versi brevissimi perché invariabilmente spezzati da enjambement. Tuttavia il ritmo sostenuto e quasi prosodico e le precise e ricorrenti scelte semantiche dal ricco panorama lessicale della lingua ceca consentono all’autore di creare un effetto di omogeneità all’interno del singolo componimento, e di familiarità tra un componimento e l’altro.

Halmay dirige l’impatto delle sue poesie sulla sfera sensoriale con l’acuto utilizzo di un lessico di riferimento non spiccatamente poetico al quale attinge per sperimentare accostamenti sinestetici. Attraverso le immagini evocate da questi contatti, parole di uso comune acquistano nell’unità del componimento o della strofa il senso complesso, universale e al contempo intimo della riflessione poetica che l’autore offre. Il dentro e il fuori, la luce e l’ombra, la memoria e il presente, l’esistenza e l’altro: il poeta praghese crea un preciso gioco di giustapposizioni basate sui particolari più semplici e comuni della quotidianità umana. Ogni componimento è radicato nella genericità del proprio titolo e da questo territorio universale l’autore si allontana, più o meno violentemente, per indagare un panorama esistenziale tratteggiato con schizzi fortemente evocativi. Non sono tuttavia netti né assoluti i contrasti e i contorni delle cose: Halmay costruisce un immaginario scandito dai volumi di pareti sporgenti, muri perimetrali, finestre di edifici e stanze dove fessure e spiragli si aprono su ciò che è fuori, altro. Il mondo e la realtà circostanti sono a volte sconosciuti e privi di risposte, vuoti o incomprensibili; a volte invece il senso delle cose è custodito proprio all’interno di questi spazi, che divengono portatori di significato nel momento in cui in essi il presente entra in contatto con il passato. Ne è un esempio ‘Calore’, dove attraverso le mura del castello di Banská Štiavnica il passato si manifesta con una voce sconosciuta che veicola parole in lingue diverse: ‘Qui conosce la sua pubertà/ Július Halmay.’.

Una città dove cemento, plastica, architetture semplici e anonime convivono con la natura e i suoi fenomeni vitali – alberi, fili d’erba, insetti, il vento, i colori del cielo – fa da scenografia a esistenze umane prive di forma definita e definitiva che si toccano senza realmente incontrarsi. Le bocche e i sorrisi sono fessure e strappi su volti sconosciuti, le voci e i rumori giungono sempre da lontano. E l’io lirico fluttua tra i dettagli di una realtà di cui non conosce il significato preciso e un ignoto infinito in cui l’essere umano si riflette con amarezza. L’epigrafe alla raccolta è tratta da Nella giungla delle città, testo teatrale scritto da Bertolt Brecht nel 1921-23 (traduzione di P. Chiarini in B. Brecht, Teatro, Einaudi 1970); l’altra citazione presente nel testo in ‘Una spiaggia’ è tratta dai Fogli d’ipnos di René Char (1943-44, traduzione di V. Sereni, Einaudi 1968).

Traduzione e nota al testo di Gaia Seminara

Appunto, tutto questo si leggeva nel suo viso!
Adesso è duro come l’ambra,
chiusi nella sua trasparenza
si scoprono ogni tanto dei cadaveri d’animali.
Bertolt Brecht

Muri perimetrali

UN PARCO

Come fiori
Sono nate dall’argilla della notte
luci immobili:
vederle sul fiume
dà le vertigini.

Sembra un idillio.
Sembra il riflesso
di un paradiso perduto…

(E per le strade intorno –
gelata e intermittente –
si diffonde la luce dei lampioni
che non ho mai
smesso di amare.)

*

COSE

A passo svelto
si avvicina la notte,
una foglia secca raschia
sul pavimento sporco.

Cosa potrà mai
pensare questa persona –
una persona
che pare abbia sempre solo intrattenuto
la sua umana storia?

E cosa pensano
queste cose qui intorno,
che tutto questo
provano a dirlo anche per noi…?

*

UNA VOCE

Oggi già più con il silenzio
mi parla quella voce.
E forse altrove
(e con altre labbra)
risuonano quelle parole.

Un bambino con un cane
risale il colle lungo un muro:
uomo e animale
in bizzarra reciprocità.

Un bambino risale il colle.
Come una lama che affonda
in una sostanza sconosciuta
senza risposta.

*

LA STANZA

All’inizio mi ci sono fermato
solo un paio di volte per la notte…

Poi ci ho trasferito anche
un po’ di cose:
dopo la realtà
si è rovinata da sola.

Eri seduta al tavolo immobile davanti a me.
E la luce cadeva
in mezzo alla stanza,
entro le cui pareti
tutto
ricominciava da capo.

*

LA SERA

Pioviggina con indifferenza…
(Come se l’indifferenza
fosse anche la misura
del mondo circostante.)

È come un dente estratto,
come un ricordo estraneo,
il vestito scarlatto
che hai addosso.

E come una battuta volgare
scendono rivoli sulle grandi finestre,
mentre gocce pesanti, fredde e battenti
ruzzolano sul muro
di un paradiso beffato.

*

MEZZA ETÀ

Di giorno alla radio,
la sera poi scacchiere, libri…

Da molto tempo nessun dolore manifesto.
Solo le sue orme:
macchie sbiadite
sulla tovaglia bianca.

Come macchie di sangue, macchie di composta –
e il lungo movimento
delle porte a un’anta,
nel cui rumore inaudibile
svanisce la realtà
del mondo circostante.

*

GANCIO

Ore e ore
pende dal bordo della piattaforma,
come in attesa…

La mattina scivola
sull’edificio del deposito
e le cose escono
dall’ombra che si accorcia.

No, nessun canto
arriva fino a lui…

Come un grido smorzato
si solleva la sagoma
della città che si sveglia.

*

GANCIO I

Come lo strappo secco di un cerotto
si svolge
l’azione…

(E con la stessa intensità di suono
si diffonde la luce dalla finestra
al cortile deserto.)

Sulla rampa di carico
pende il gancio:
una smorfia fissa
sul volto dell’atmosfera.

Come un buco si spalanca
il cielo
di un giorno invernale.

*

PIANURA

Gli orli scarlatti e arancio di nuvole scure
sopra la linea dell’orizzonte
durante il tramonto.
Al di sotto la pianura –
come estrusa
dal mondo intorno.

Ancora le stesse luci
dalla funicolare…

Ma questa pianura
si distende senza di me
qui in una frase iniziata:
l’ombra di un albero, che cade
sull’erba incolore.

Pianura asciutta, immobile.

Il sibilo del vento
tra gli arbusti.

*

IL CANTO DELLE BALENE

Piccola
fino alla negazione di sé
sembrava la gente
nella penombra fra gli alberi…

E solo le donne
in soprabiti colorati
portavano i loro tratti con la stessa risolutezza;
le case come statue
sporgevano contro il cielo.

Certo
questa è sempre
stata una città…

(E come si mordevano
affamati gli occhi,
quando il vento muoveva pian piano i rami
dall’altra parte del cortile.)

Una sensazione indescrivibile!

Dal buio si separavano i singoli muri,
il canto delle balene non cessava
nelle profondità del mattino.

Le tendine biancheggiavano
su finestre socchiuse…

*

RAMI

Come un’apparizione grottesca
ondeggiano i rami
alla fine della strada.
Si alza il vento –
e i rami carpiscono suoni brevi, taglienti…

I vicini di sopra
si amano proprio:
i gemiti coprono
lo scricchiolio continuo.

Forse anche noi siamo stati per qualche attimo simili
a divinità sconosciute…

Quando il silenzio ha amplificato
stridii e sospiri
e le nostre teste
somigliavano a quelle di un mito.

*

BLU

Lungo tutto il giardino del manicomio
corre questo muro.
Al di sopra sporgono gli alberi:
rami enormi come vene gonfie.

Niente più parole pretenziose.
Solo il coraggio
di essere se stesso per un momento –
prima che dalla penombra che si dirada si faccia strada
una striscia di blu cobalto.

*

MASCHERA

1.

Una volta avevamo
la realtà – e Dio.
Ora abbiamo l’ironia e il distacco:
bocconi e ritagli di un giorno estraneo.

Era un odore dal fiume
nel vento freddo di primavera
una spianata piena di neve
distesa sopra il lungofiume
come una maschera.

Mentre il giorno si avvicinava
nella sua concretezza
simile
a una statua a passeggio.

2.

E poi mi è cresciuto
un volto nuovo:
il vento mi ha portato
voci umane sconosciute…

La realtà non ha
tratti più precisi.
Ma anni interi ci vorranno,
prima che questa situazione
raggiunga una qualsiasi
forma definitiva.

*

RAMI I

Come un’illusione,
come frasi non pronunciate
giacevano i rami tagliati…

(La mera realtà
di nostro figlio cresciuto
dava alla situazione
una direzione nuova.)

Poi al bistrot il viso
del giovane garzone:
la fessura della bocca
in un cranio barbaramente splendido.

Percepiamo chiaramente
tutte le emozioni finora.
Ma non ne conosciamo
la precisa portata…

Il vento
gonfia la plastica
che copre una pila di assi vicino al muro,
e quella poi emette
un suono secco, di schiaffo.

*

CALORE

Volti
strappati da un sorriso
intravedi su un manifesto,
mentre sali
verso il castello di Štiavnica.

Crudele e pulita
la linea del lungo muro.

E nello spiraglio di un raggio
senti una voce sconosciuta:
‘Hier erlebte seine Flegeljahre
Július Halmay.’

Il calore
senza partecipare
rimuove i colori della città.

***

Sigla

PUNTO ZERO

1. (vernissage)

Dal soffitto di vetro
della galleria locale
cade la sera.
Bambini di ieri
fissano da dentro la sala
attraverso alte pareti.

Le cornici sono
vuote.
Oltre la parete
dal parco non lontano
qualche betulla
riluce come osso.

Si diffonde nell’aria
un pesante
profumo d’estate.

*

2. (scogli)

Eravamo immortali…

Per epoche intere
ci siamo protratti insieme,
come se la natura
(e con lei il tempo tutto)
non avesse con noi
molto in comune.

Il sole tramonta.

E i nostri corpi
si sbriciolano adesso
al solo pensiero
del primo tocco
di freddo.

*

EPOCA

Collassano i muri portanti.

Si sbriciolano
i soffitti.

Da uno schermo ciclopico
ghigna su di noi
il nostro stesso volto
– che imitazione
dell’inferno.

*

VOLTO

Nascosto dietro le parole
come un animale
aspetti la tua
vera forma.

L’aria
quasi materiale…

Senti esplodere
la tua coscienza
nel soffio dei fiocchi
della neve che cade.

Il profilo dei tetti
si trascina nella penombra
sopra il volto stretto
del parco.

*

UNA SPIAGGIA

Léon sostiene che i cani arrabbiati sono belli.
Io ci credo.

René Char

Dal bosco
arrivavano persone
e guardavano
verso di me.

La lamiera scricchiolava piano

sulle tribune dello stadio.

(E poi quella spiaggia
nella sua terribile concretezza
con anche i pezzi di legno
restituiti
alla riva.)

Ora per la prima volta
tutti i particolari…

E il sesso,
come una fessura nella finestra
sul buio.

*

LA STORIA

I cancelli del castello di Dobříš
aperti
per sempre.
I fili d’erba si innalzano
in un non ambiguo
vuoto.

Hai sempre cercato
l’espressione assoluta.

Giorni strappati
dalla propria vita
come una frase
senza soggetto.

*

GENERAZIONE

Come corsivo
al margine
della pagina.

Gesti spezzati,
frasi.

Nello specchio dal parrucchiere
non riconosci te stessa.

A seguire
è solo
mito.

*

FINESTRA

Finestra senza tende
nel primo
degli isolati più vicini.
Senza serrande, fiori,
senza il balenio di un volto:
una voce
che si sparge
da chissà quale riva.

Ma com’è ora il tuo viso?
Quando gli alberi fioriscono
e il polline si deposita
per interi lunghi giorni
come cipria
sul muro della città.

*

HOLEŠOVICE-BUBNY

Il serbatoio antincendio
è secco
da tempo…
Al suo posto
la terza versione
di un parco.

Muri che si innalzano
nella sera
lungo la ferrovia.

Niente di ciò
che sei stato
e che sei oggi
tu.

*

SCAPI

In una piccola aiuola
dondolano
gli scapi.
Un movimento leggero,
appena
percepibile.

Stavamo sul versante,
il ponte sospeso sotto di noi:
una forma inerte, facile.

Ma non sei mai saltato
proprio via
da questo
mondo.

E molto più netto
ti sembra il ponte,
piante
che ammiccano
sulla sabbia pallida della via.

*

CRISTALLI

Un sacchetto dello zucchero
all’angolo
nell’immondizia del cortile.
Cristalli piccini
sul calcestruzzo pallido.

Nell’afa del mattino
sudavano
i muri.

E il desiderio di te –
l’unica dimora
nel lampo
di questo momento.

*

ROMPIGHIACCIO

Alla memoria di Viola Fischerová

Alla fine è come se
tu abbia dovuto inventare
un certo tempo
precisamente indescrivibile.

Come prima
è uscito il sole.

Solo che non sapevi più
dirlo
in nessun modo…

I raggi cadevano
nell’amorfo.

*

FONTANA

Una fontana nel parco deserto di pomeriggio.
Tremolio di gocce nell’aria arroventata:
sbalorditivo, immutevole moto
perfetto in se stesso.

Che cos’è? Un ricordo?
Conturbante niente
di parole pronunciate per la prima volta,
accozzaglia di fortuna
rappezzata in fretta?

Fontana in mezzo alla strada d’asfalto.
Intreccio privo di gioia e rimorsi e paura –
così come orme su una spiaggia di sabbia
di qualcuno che forse
non è neanche nato…

***

Luogo

FIAMMA

Nei giardini trascurati
di fronte al monastero di Břevnov
sibila una fiamma.

Siamo forse proprio noi
a riscaldarci qui
nell’erba incolta?

Sotto lo sguardo silenzioso
dei padri-
ostetrici
della catastrofe.

*

IN TERRAZZA

1.

Villa assopita
nel verde immobile.
Un insetto vagava
sopra l’erba che avvizziva.

2.

Ho voltato la testa verso di lei.

Stava sulla porta
come un sacrificio incruento.

3.

E il mio volto
nel vuoto
dell’estate.

*

STRADA

“Sei stata la rovina
di tutta la mia vita!”
dico al vuoto –
all’aria
vuota.

La strada piena
di luce della sera.

Intera testimonianza
del mio presente.

*

LUOGO

In Ungheria forse –
a Komarom, a Eszterom
oppure in una strada periferica
di Pest…

Un luogo,
dove sei entrato
una volta di mattina.
Un luogo senza domande.
E i tuoi passi
sul vialetto del parco
e al di fuori
di una lingua umana.

*

MATTINA

ad Antonín Brousek

1.

Un soffio,
una folata di vento ghiacciato.

Gioia
cambiata
in fenomeno incorporeo.

È così che cade
la foglia contorta dall’inverno?

Erba scurita.
Insetti
spariti.

2.

Un punto
nella rada penombra.

Il silenzio rimbomba:
la voce
di un dio sconosciuto.

E la vista sul cortile
dove si allunga
una parete scrostata-
per sempre.

*

VIADOTTO

La voce di Billie Holiday.
(Più netta
delle voci dei Plastic People
sui nastri registrati.)

Le costole di ferro del viadotto
inumidite
dal freddo del mattino.

Un raggio sferraglia
sulle pietre del manto stradale
bruciate
dal gelo dell’estate.

*

STRISCIA

Ubriaco in balcone
con la sigaretta in mano
guardi in alto
oltre il muro pallido del cortile.

Tutto è ammutolito.
Solo il ronzio dei pianeti
come se arrivasse ora fino a te

attraverso una striscia pallida.

La ringhiera di ferro
ti fredda i palmi –
un saluto
da questo mondo.

Immagine: Henrik Hakansson, Monarch -The Eternal, 2008.

Poeti cechi contemporanei /1: Petr Borkovec
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Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).