In anteprima da “E intanto la vita? Poesie per Lei Dottore (1984-2025)” di Vivian Lamarque, da poco uscito per ‘Lo Specchio’ Mondadori con postfazione di Vittorio Lingiardi, presentiamo sei poesie dalla sezione “Quelle volte che” scelte per noi dall’autrice.
SE LEI MUORE DA CHI VADO?
Se lei muore da chi vado?
le chiesi il primo giorno.
Si ricorda?
(cominciamo bene avrà pensato?).
Ma anche gli anatroccoli
e tutti gli altri, fissi seguendo
nell’acqua la coda della madre
lo pensano, sono sicura
sono sicura che anche loro hanno paura.
Ne ho visto una volta uno sperso:
era estate che spavento che inferno
quell’improvviso inverno.
QUELLE VOLTE CHE CHIEDEVO
Quelle volte che chiedevo alla margherita
m’ama oppure m’ama
il mio Dottore? E che il fiore
subito mi rispondeva
t’ama! t’ama!
Ben lo sapevo che sanno
tutto proprio tutto
che non commettono mai errori
loro, i fiori.
LE DAVO SEMPRE RAGIONE
Le davo sempre ragione
sempre ragione
ero sempre d’accordo
su ogni cosa su tutto.
Ci volle una guerra
quasi mondiale
per dirle prima un però
poi addirittura un no.
MA DAVVERO DOTTORE UN GIORNO
Ma davvero Dottore un giorno
la pelle lascerà le nostre ossa?
Si lasceranno infine guardare
lui l’ingannevole femore, lei
la frangibile anca, e l’intera famiglia
di falangi falangine falangette?
E dove senza più gabbia
in quale angolino rubino
il nostro intrepido
cuore?
Lui che tutto sentiva pativa vedeva
vedremo un giorno noi?
DEL RESTO SUCCEDE COSI’
Del resto succede così
anche a tutti gli alberi del mondo
a loro che sentivano ogni minimo volo
che vedevano di ogni mattino la luce
e di ogni imbrunire le ombre
che pativano a noi non visibili dolori.
E del resto succede così anche ai fiori
uno a uno i petali lasciano i loro steli
ci vogliono tutti più leggeri possibile –
i Cieli.
QUANDO LA SEDUTA STAVA FINENDO
Quando la seduta stava finendo
finiva era finita io ancora
fino all’ultimo parlavo
dalla poltrona a in piedi
da in piedi al cappotto
dal cappotto al corridoio
dal corridoio alla porta chiusa
dalla porta chiusa alla semi aperta
fino all’ultimo parlavo
e quasi sulla soglia
a bassa voce nominavo
le cose che vedevo
cappello dicevo
indicando sulla panca il cappello
del paziente nel salottino d’attesa
e ombrello dicevo
indicando il portaombrelli
e infine già metà fuori
zerbino dicevo
poi lei mi dava la mano e anch’io a lei con dentro
a volte una biglia o una golia o un bigliettino
poi arrivederci arrivederci e fuori
neve dicevo
se stava nevicando
o nevicherà.