Alcune poesie da “Quaternarium” di Gianluca Furnari (Interno libri, 2024).
PIANO B
I.
Quanto sul fondo si consuma e perde
per te, Dio, da duemila
millenni sta tentando di parlarti:
droni, capsule, cielo
dopo cielo per l’aria fino a Tharsis,
a Vega, ai protoammassi
galattici – ma il sogno
di averti non funziona
o prenderà una vita intera, finché a luci spente
ci chiami a uno a uno – gli esseri
di carta, in pianto, uniti per le mani –
e pronunci il verdetto. Non tu, un atomo
di radon sul tuo trono.
II.
Poco fa una bambina
parlava a un’anatra del lago
in una lingua morta – ed erano
finalmente in contatto i nostri mondi;
così forse con le anatre
del cielo un giorno parleremo, grandi
flotte di anatre nate su altre stelle
o dai fondali di Encelado,
perché con le ali plaudano all’intesa;
domani, se bacilli
di vita ha l’acqua – ghiacci, ma è ventura
che anche voi vi svegliate
dalle tane dei mondi impoveriti;
una è la guerra, forme – anche tetragoni,
corde, che avete un pianto
segreto dove corrono cani dell’astrazione,
e infinità dei computi,
grafi non nati, una è la guerra – cresce
su tutti ormai la crepa dei sistemi.
III.
Tratto l’ultimo sorso
d’azoto, noi wiwaxia,
hallucigenia, odontogriphus, sapiens
partiamo per un sogno
fossile, in vitro – ad altri con il cielo
tocca chiudere i conti.
Care mie anatre, quando
distendete planando i piedi – si apre
sopra il vostro riflesso il vostro volo –
per un secondo almeno, al culmine
della tensione, siete
uomini voi, noi le anatre
che vi stiamo a guardare:
ecco un inizio. O ruderi
sott’acqua – verdi pianetini
che concrescete intorno a una moneta,
stagni di stagno –, io dico
che li avrete in un anno i grandi imperi
per fare a meno di noi, armati
di nitrati e fosfati.
GIORNO 1
FINE DELLA STORIA
Svegliatevi, fantasmi,
dal sonno delle bare!
venite qui, coloni
della luna, a guardare!
Il tempo per incanto
scorre con leggi nuove:
convergono le folle
di ieri e di domani.
L’era è un dedalo: impazza
dalle lande del nulla
come una Babilonia
l’arca dell’universo.
Ecco, tornano verdi
gli avi agli occhi dei posteri
e l’australopiteco
osserva l’astronauta.
Si chiamano l’un l’altro –
a vuoto – antichi e nuovi:
la lingua è vecchia; iniziano
le lettere a crollare.
Voi felici, infelici,
che in una primavera
fredda vedrete sorgere
la lingua dei futuri.
GIORNO 4
FINE DELLE LEGGI DI NATURA
Saturo ormai dei sogni
del suo sonno finale,
hyrca, hyrca, nazaza,
l’universo scompare.
Scalza dall’antica orbita
le stelle un vento freddo.
Si spegne, assassinata,
la gravità di Newton.
Ballano ora le sabbie
della Luna, la Grande
Macchia Rossa di Giove
guada le acque del cielo;
come sommerse, muoiono
la fiamma delle nove,
le onde radio, le onde
infrarosse, X e gamma.
La potenza dell’atomo
ora è fuori dai gangheri;
fermi i neutrini; immobile il
decadimento beta.
Ecco, vibra il quaderno
dei quark e l’universo
cede a una nube. Cessano
il quando, il cosa, il dove.
GIORNO 5
FINE DEI NUMERI
Silenzio. Pace antartica
la polka delle cose.
Su, in alto, prende i numeri
la malattia di Hansen.
Prende i grandi per primi,
uno per uno: muoiono
il Milione, poi il Cento-
mila, poi il Diecimila;
oh, trapasso incolore!
oh, strage luminosa!
Ridotto in particelle
si dissolve anche l’Uno.
Ho visto con i miei occhi
elidersi lo Zero-
zefiro sotto i venti
gelidi dell’eterno.
Con che voce dovrei
cantarti, rotondissimo,
numero unico, chiuso
nel bianco della morte?
Basta. Scriva la penna:
«Fine dell’età Quarta».
Riscintilli il Quinario.
Sia ibernata la carta.
NB: Non è stato qui sempre possibile rispettare la grafia dell’originale, ci scusiamo.