Quasi un canto d’erranza. Ottanta parole giudeo-spagnole riportate dai viaggi

da | Mar 8, 2018

Poesie di Eric Sarner dalla raccolta Coeur chronique, Le Castor astral, 2013. Traduzione di Mia Lecomte.

1-IDA

andare,
l’andata e a volte

fazer la ida sin la venida,

sapere che non tornerai,
oppure ignorarlo ancora

la ida esta en mi mano, la venida no sé kwando

parto, lo sai, so di partire,
ma quando tornerò?
Idadiko,
un po’ più avanti con gli anni.
Sì, tornerò vecchio, o non tornerò.

***

2-KAZA

ricordo il pavimento in maiolica
che una donna dal turbante lavava con molta acqua

En kada kaza ay un dolor de korazon,

ovunque, subito, ieri o più tardi,
come una sofferenza del cuore.
E,

ajwera de kaza?

Si è più felici lontano da casa?
Spesso è il fatto a condurti
piuttosto che l’inverso:
lasciarsi portare non è rinunciare,
non rifiutarsi di agire, no,
si può celebrare l’azione in se stessa,
andare per il mondo
danzando il cammino,
perché tu gli appartieni.

***

4-BARBARUTO

L’uomo nero,
quello che la madre chiamava
il Babaloulou,

vo a yamar al Babaloulou
(o Barbaruto)
para ke te tome!
il lupo mannaro ti porta via!

Il bambino aveva visto
il panettiere
nero per il fumo del forno
vendere il suo pane
per le strade
al grido di

Par barato! Par barato!

pane a buon mercato
ma le parole
deformate
parlavano adesso di fantasmi

Barbaruto! Barbaruto!

***

7-RÚAJ

come sempre, bisogna avvertire la risonanza
è un soffio di vento
e si potrebbe

kedar sin rúaj
restare senz’aria
a corto di fiato.
Misteriosamente.

rúaj è anche un’anima errante.
Si dice che possa
stabilirsi in un corpo vivente
che ne è posseduto.
Bisogna esorcizzare, pregare per
espellere
l’occupante.
Una vecchia strega,
un incantatore musulmano,
un maestro,
ulema o cabalista
veniva.
Per tutti, la vittima era oggetto
di un sacro terrore.

10- BOZ

voce,

boz de akayadura menuda,
la voce sottile del silenzio

no se le syente la boz
qualcuno di piuttosto silenzioso
di cui non si sente la voce

Boz del pwerko no suve al Syelo,
la voce del porco non può salire al cielo!

Meyer, il bisnonno, cantava a
boz alta
alta voce, voce forte, una voce stentorea
diceva la madre,
pare che lo si sentisse
a parecchie strade di distanza, ma laggiù
non capivano le sue parole,
lo yiddish.

***

13-KUZIR

cucire,

No kuzir con uno,
Essere in disaccordo con qualcuno.

Kuzirse la boca,
cucirsi la bocca, non dire più una parola.

Tenerlo a negro de kuzir enriva de un bivo

ricucire un bottone o un piccolo strappo
sul corpo di qualcuno (un bivo, un vivente)
porta sfortuna.
Anna, la zia,
la scongiurava mettendomi
in bocca un pezzettino di filo,
dovevo masticarlo mentre cuciva.

***

15-AGWA

l’acqua, che può essere klara, truya, kayente,
fria, yelada, arenosa, sussya, limpyia, dulse, rozada.

L’acqua di rose, ce n’era tanto di sovente che non so più
quale fosse il suo valore
(forse proprio quello di esserci sempre).
Bellezza, semplicissima ricchezza dell’acqua,
la madre parlava di
Champagne del buon Dio.
Ma perché il mestiere
di agwador, acquaiolo, era così disprezzato?

***

19-AJARVAR

Battere i tappeti, ad esempio, era una festa,
un’occasione di gioco,
utile dispendio fisico,
ajarvar tapetes.

Dalla zia Anna, si faceva
sullo spesso balcone di pietra.
Il vento portava la polvere al mare.

Ma anche,
ajartar al azno para ke syente el patrón:
battere l’asino
perché il suo raglio attiri l’attenzione del padrone,
fare un’allusione indiretta per riportare ai propri doveri
qualcuno che finge di dimenticarli.

***

22-PAN

La merenda (o “ore 10”) consisteva a volte
di un tocco di pane aperto in due
e passato sotto l’olio d’oliva.
Il gusto più forte,
più tenace era quello dell’aglio
sfregato sulla crosta.

Allora, c’erano due tipi di pane:
il pan de kaza,
impastato in casa,
a volte cotto dal panettiere all’angolo, il buon pane,
come si dice di una persona buona
e il pane venduto al mercato,
pan de plaza,
venduto con molte grida,
comprato di passaggio dopo il lavoro.
Si sentiva: Tres once!
Undici soldi per tre pani,
in luogo di due.
Dovrebbero bastare:
Pan i keso i dos kandelas,
pane, formaggio e due candele.
Due? Sì, due.

***

23-STRÁNA

Prima parola di una filastrocca
che in un cerchio di bambini
designa quello che aprirà il gioco.
Uno dei bambini indica col dito,
di volta in volta,
uno dei compagni,
articolando ogni singola parola della formula.
Apre il gioco
quello su cui cade l’ultima.

Strana
balane
ke
bate
la
lana
estifola
pelegri
bo!

Parole che non significano nulla in particolare.
Mio sacro orrore per questo gioco,
lotteria del terrore,
che abbia luogo in francese (ce/sara/toi/qui…)
o, peggio, immaginata adesso.
Il terrore
di essere scelto
al culmine di un vuoto di senso.

***

25-PUTIFERO

o putifera, al femminile,
nient’affatto putána (puttana) o
putanero/era (preda della depravazione).

Putifero/ra allude alla moglie di Putifarre,
intendente del palazzo del Faraone,
tentatrice che cercò di sedurre Giuseppe.
Ne ho incrociate nella Casbah,
uscendo a sinistra della moschea-cattedrale.
Ricordo i suoi occhi, il viso tutto,
anche le braccia,
in un luogo chiuso, una sorta di salotto triste,
in fondo a dei cunicoli bui,
in mezzo ad altre donne che sorridevano osservando
gli uomini passare.

***

26-LUNAR

Chiaro di luna. Tutto è possibile,
kusir al lunar, cucire al chiaro di luna,
meldar, leggere;
pasearse, passeggiare,
e anche ecarse al lunar, crescere velocemente.

Da piccolo, nessuno mi ha mai indicato
il chiaro di luna.

***

27-ENTEGÁR

Qualcosa di freddo
creare imbarazzo con parole fuori luogo
oppure
provare un sentimento di umiliazione
entegarse, essere colto da vergogna
o ancora
irrigidirsi, attraversato dal gelo.
Un giorno,
non so più perché,
aprii lo sportello della ghiacciaia in cucina,
non ne tirai fuori niente, al contrario,
mi piegai, entrai senza fatica
e lascia che la porta si chiudesse.

30-SEKRÉTO

segreto: un trezoro sekreto
una porta nascosta, sekreta
una parola d’ordine, sekreta.
La madre e la zia quando non volevano
che capissi questo o quel segreto che condividevano
passavano
improvvisamente
allo yiddish
(la loro lingua più intima, quella di prima,
in un contesto segnato dal giudeo-arabo
o da quello che restava del giudeo-spagnolo).
La parola sentita allora e a tutt’oggi più presente
è “Guenig!
“Abbastanza!”

***

32-NOMBRE

Il nome.

C’era una miscela di suoni insondabili
nei nomi che mi avvolgevano.
Vocali – sì – a non finire,
tutte.
E il nome del padre cominciava con l’articolo
maschile EL, che in qualità di nome proprio,
non è nientemeno che
il nome di Dio:
El ke no es nombrar;
colui che non si nomina,
L’Ineffabile.

***

33-DURMIR

Nan-na il bambino fa la nanna!
come se dormire gli appartenesse:
per le donne attorno
sembrava esserci qualcosa di rassicurante, premio del riposo,
quando dormiva.
Il mondo diveniva più giusto,
come inoffensivo,
certo perché il bambino sfuggiva un istante
al mondo.
Un sonno troppo leggero o agitato,
durmir alborotado,
e le donne cadevano di nuovo preda dell’angoscia.

***

34-MIRAR

a mi mirame,
che suona come l’inizio di una filastrocca
che non c’è, forse andrebbe inventata;
guar-da-mi-ne-gli-oc-chi!

la gayina beve agwa y mira al syelo,
la gallina beve acqua e guarda il cielo

Mira!

***

36-DEMUDÁDO

pallido, livido,
ma anche maniaco, eccentrico, pignolo.
C’erano giorni in cui lo zio era tutto questo insieme,
demudádo,
non se ne rendeva conto,
complice l’anisetta,
per annegare le immagini mute del 1915 della Somme
nelle nuvole bianche che si formavano in fondo al bicchiere.
Un giorno, ne lanciai uno dal bancone
con violenza,
demudádo

***

37-FRÉNTE

La fronte. La mano che mi teneva la fronte
per vomitare.
E il più spettacolare dei falsi amici,
meterse in frente, non farsi avanti,
ma da parte,
dichiararsi neutrale,
rifiutare di mischiarsi al conflitto.
La Svizzera.
La madre mi sembrava così,
il motivo era vecchio,
non sempre si è capaci di riprendersi da certi spaventi,
come l’aver visto a soli tre anni
i cosacchi a cavallo
che bastonavano sulla testa la folla.

***

41-SÉKO

seko y arresekado, secco e raggrinzito,
per un frutto, un albero, un vecchio.
Favlar seko seko seko, parlare duramente.

E questo proverbio per il viaggio e la vita,
Kyen gasta en lo seko kome en la mar,
chi raccoglie all’asciutto, mangerà in mare.
Meglio fare rifornimento a terra
prima di prendere il largo.
Così il padre prendeva posto sul porto
con tutto un mondo di mercanzie
per i marinai di passaggio.
Sembrava esserci ogni possibilità.
Orologi e dentifrici,
vini e formaggi,
pesi e pettini da baffi,
profumi e donne,
bicarbonato e molto altro
e il contatto
o l’invenzione
per lo straordinario.

***

42-NASILISA

dall’avverbio turco nasilsa, in un modo o nell’altro,
comunque sia.
Nasilisa, una volta raggiunta Costantinopoli
la famiglia si installò a Balat, sul Corno d’oro.
Ignoro quanto tempo vi restarono
prima di raggiungere Marsiglia.
Passeggiando di recente per Fener e Balat
sono entrato in una farmacia
che avevano potuto conoscere.
La farmacista, dal canto suo,
mi ha parlato come se mi riconoscesse.
Nasilisa, è apparso questo.

***

44-ÓZO

ozos,
gli occhi.

Lo zio era stato colpito gravemente al fronte
dalle parti di Roclincourt,
Pas-de-Calais.
Mesi senza vedere, parlare, sentire.
dalle parti di Roclincourt, nel 1915
lo diceva così, esattamente
come fanno le canzonette di provincia.
Quando ero ancora bambino,
la sua vista ricominciò ad abbassarsi.
Non mi aveva perso d’occhio per anni,
ora ero io a condurlo a mia volta per la città.
Così si è iscritta in me
la guerra del 14-18,
dallo sguardo, il suo perduto che cercavo.
Ben diverso (oppure?);
perché commuoversi per questo:
un ozo de azeyte,
una goccia d’olio che galleggia
nel brodo?

45-ODÉSA

La città di Odessa, un porto dolce sul Mar Nero,
fu il punto di partenza per l’Occidente,
verso Costantinopoli e più lontano.
L’unica parola del passato
che la madre pronunciava con qualche piacere.
O
D
SA.

***

46-VENDIMYA

La vendemmia.
Esempio stesso di parola per me disincarnata,
bambina,
parola incredibile perché le cose dovevano sembrare
senza spiegazione,
senza causa prima,
senza storia.
I frutti c’erano,
oppure non c’erano.
Niente da cercare né da comprendere
quindi niente da spiegare.
La cosiddetta – e non detta –assenza di Storia
era lì come per prevenire ogni domanda
ogni rischio
di essere.

***

47-KARTA

eskrivir una karta
postar una karta
asservir una karta,
scrivere, imbucare, ricevere una lettera.
Karta parla (dall’italiano),
gli accordi devono essere stipulati per iscritto,
(verba volant, scripta manent,
s’involano le parole, rimane ciò che è scritto).

Es a mi a dar las kartas,
le ho viste che è poco queste donne anziane
dell’Hotel Splendid
a Büyükada, la maggiore delle Isole dei Principi,
a una mezzora di battello dall’imbarcadero di Karaköy, a Istanbul.
A volte hanno l’aria di tenere il muso,
e non è solo un’aria,
vibrano in giudeo-spagnolo,
determinate
a morire più vecchie
delle loro vicine.

***

49-DIA

giorno.

Kurtos son los dias,

resta poco tempo davanti a noi.
Impossibile nominare la morte,
la sicura eventualità di morire,
senza scatenare malessere o esorcismo.
L’espressione:
No digas mal del dia si no anocese.

Solo a fine giornata
ci è permesso di dirne male.

***

51-MAS

Più.

Soprattutto, il mas è riferito
alla quantità di cibo da ingerire,
da ingerire mentre la madre guarda,
perché è inutile ingoiare quando,
caso straordinario,
il suo sguardo si posa altrove.
Allora, è come se la bocca
non contasse.
Bisognerà ricominciare.
Perché occorre mangiare
rivolti a lei.
Mangiare per lei, si dice.
Mas ainda,
c’è di peggio, certo:

mas mal de esto ay.
Mas par’aki, mas par’ayi,
più vicino, più lontano.

Niente da aggiungere,
y mas nada.

***

55-ÉNTRE

Ad un tempo dentro e tra.
Particolarmente ricca mi sembra l’espressione
entre mi, in me stesso.
Entra una kaza i la otra.
Credo di aver sempre vissuto “tra case”.
Tra le une e le altre.
Si dice anche
Entre el vino, bevendo vino,
Entre muskos i fuskos, tra cane e lupo,
ma dove il francese vede animali,
il giudeo-spagnolo evoca “cose”
che non designano niente,
puri fenomeni linguistici,
in ogni caso muskos et fuskos in sé non hanno significato
né si ritrovano altrove.

Quedar entre las manos, alla lettera
“restare tra le mani”, reca l’immagine
di braccia abbandonate,
è evocare una grande sorpresa, in particolare per
un’accusa improvvisa e infondata,
ma anche, direttamente, uno svenimento.

***

77-DAR

dare, accordare.

Dar a komer kon kucara,
letteralmente dare da mangiare col cucchiaio,
in senso figurato fare comprendere con mezze parole,
allusioni trasparenti.

Alma no te puedo dar,
non posso darti l’anima.
E,
darse puños, darsi pugni sulla testa.
Una delle visioni più violente
era vedere la madre schiaffeggiarsi da sola
quando era esausta.

***

80-IMAZE

allo stesso tempo immagine, statua e,
in ladino – quello della liturgia –,
idolo.
Un imazinador è colui che crea, immagina,
per primo ha l’idea di qualcosa.
Due immagini dell’infanzia resistono
(dove?)
resistono, qui,
una è quella di un gatto,
un gatto maschio,
un Felix-il-gatto,
disegnato e colorato,
il ritratto fedele d’un micio fiero di sé
e dell’enorme nodo
papillon
legato al collo.
L’altra immagine è più misteriosa,
si tratta ancora di un animale,
ma di cui la memoria rifiuta
di restituirmi
la forma esatta
e la specie
e il nome.
Il disegno, a colori,
risultava al centro di quei piatti
con un serbatoio d’acqua bollente
per tenere al caldo la pappa.
Ricordo l’aspetto gioioso
dell’animaletto –
un orso? uno scoiattolo? un san bernardo? –
grazioso,
anche angosciante,
serio, spaventoso;

a meno che non mi stia confondendo
con il sentimento che cresceva
all’istante T in cui
nel purè, nella pasta, che so io,
un buco veniva a sostituire
la figura.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).