Per Milo De Angelis

da | Giu 6, 2021

Pubblichiamo un’antologia di poesie che ripercorrono l’opera poetica di Milo De Angelis attraverso i suoi libri.

Da “Somiglianze”, 1976

T. S.

I

Ognuno di voi avrà sentito

il morbido sonno, il vortice dolcissimo

che si adagia sul letto

e poi l’albero, la scorza, l’alga

gli occhi non resistono

e i flaconi non sono più minacciosi

nella luce chiaroscura del pomeriggio

mentre mille animali

circondano la lettiga, frenano gli infermieri

il disastro del respiro sempre più assopito

nei vetri zigrinati

dell’autombulanza, appare

il davanzale di un piano, il tempo

che sprigiona i vivi

e li fa correre con la corrente nelle pupille,

l’attimo dell’offerta, per scintillarle.

E improvvisa, la quiete

della vigna e del pozzo, con la pietra levigata

dividendo la carne

una calma sprofondata dentro il grano

mentre la donna sul prato partorisce

sempre più lentamente,

finché il figlio ritorna nella fecondazione

e prima ancora, nel bacio e nel chiarore

di una camera, il grande specchio,

il desiderio che nasce, il gesto.

II

E poi avrete sentito, almeno una volta

quando il liquido, delicatissimo,

esce dalla bocca, scorre giallo nel lavandino

e la sonda e le sirene sempre più lontane.

Il respiro si affanna, finisce, riprende

quanta pace nella spiaggia gelata dal temporale:

una canoa va verso l’isola corallina

e sotto l’oceano si accoppiano le cellule sessuali

non ci sono eventi irreparabili

ma solo le spugne cicliche,

gli insetti che hanno coperto l’aria:

ecco un colore di madreperla, una roccia nella sabbia,

l’accappatoio che toglie con un solo gesto

solennità della luce, la meraviglia, la prima

e la femmina del pellicano

chiama la nidiata sparsa nella tempesta

e forse vede qualcosa, tra gli scogli,

qualcosa che si muove

domani correrà con i suoi bambini

mescolata, per respirare

nel turchese profondo della marea

che sale in superficie, sta rinascendo adesso

e trova una terra diversa, un’altra voce.

Da “Millimetri”, 1983

Ora c’è la disadorna

Ora c’è la disadorna

e si compiono gli anni, a manciate,

con ingegno di forbici e

una boria che accosta

al gas la bocca

dura fino alla sua spina

dove crede

oppure i morti arrancano verso un campo

che ha la testa cava

e le miriadi

si gettano nel battesimo

per un soffio.

Da “Terra del viso”, 1985

Esterno

Giunge novembre per i pazzi che hanno

freddo e sentono il chiuso della prua

come un assedio remoto, come

un fischio di ruggine che smorza le canzoni;

e sanno che la morte

tra le vecchie ha anche una via più pura,

ora che un cervello lascerà sopra gli scogli

i loro anni, li falcia, li ricorda.

Da “Distante un padre”, 1989

Riga

Alla testa ondeggiante nel mirino

preferimmo una

malattia di gradi freddi e sottrazioni: è

odio anch’essa, lo so, ma questo

fuscello si fa idea inseguendola per

un anno di limbo. E noi, applausi

scoloriti, abitammo la notte,

la sfuggente, meravigliosa pedana. Penetrazione

di sole in grano, che è madre. Superstite

che si chiama padre.

Da “Biografia sommaria”, 1999

Donatella

La danza fiorisce, cancella il tempo e lo ricostruisce

come questo sole invernale sui muri

dell’Arena illumina i gradoni, risveglia insieme agli anni

gli dei di pietra arrugginita. “C’è Donata De Giovanni?

Si allena ancora qui?” “Come no, la Donatella,

la velocista, la sta semper da per lé.”

Mi guardava fisso, con l’antica dolcezza milanese

che trema lievemente, ma sorride. “Eccola, guardi,

nella rete del martello… la prego… parli piano…

con una mano disfa ciò che ha fatto l’altra mano.”

“Chi è costui? Un custode, un’ombra, un indovino…

quali enigmi mi sussurra?” Si avvicinò

a Donata, raccolse una scarpetta a quattro chiodi.

“La tenga lei, signore, si graffia le gambe…

… povera Donata… è così bella… Lei l’ha vista…”

“Forse il punto luminoso della pista

si è avvitato a un invisibile spavento, forse

quest’inverno è entrato nella gola insieme al cielo:

era sola, era il ventuno o il ventidue gennaio

e ha deciso di ospitare tutto il gelo”

“O forse, si dice, è successo quando ha perso

il posto all’Oviesse, pare che piangesse

giorno e notte… per non parlare di suo padre…

i dottori che ha chiamato… mezza Milano”

“Io, signore, sbaglierò, le potrà sembrare strano

ma dico a tutti di baciarla, anche se in questo

quartiere è difficile, ci sono le carcasse dell’amore

c’è di tutto dietro le portiere. Sì, di baciarla

come un’orazione nel suo corpo, di baciare

le ginocchia, la miracolosa forza delle ginocchia

quando sfolgora agli ottanta metri, quasi al filo

e così all’improvviso si avvera, come un frutto”

“Lo dica già stasera, in cielo, in terra, dappertutto

lo dica alle persone di avvicinarsi: ne sentiranno

desiderio – è così bella – e capiranno che la luce

non viene dai fari o da una stella, ma dalla corsa

puntata al filo, viene da lei, la Donatella.”

Da “Tema dell’addio”, 2005

Vedremo domenica (I)

Contare i secondi, i vagoni dell’Eurostar, vederti

scendere dal numero nove, il carrello, il sorriso,

il batticuore, la notizia, la grande notizia.

Questo è avvenuto, nel 1990. E’ avvenuto, certamente

è avvenuto. E prima ancora, il tuffo nel Ticino,

mentre il pallone scompariva. E’ avvenuto.

Abbiamo visto l’aperto e il nascosto di un attimo.

Le fate tornavano negli alloggi popolari, l’uragano

riempiva un cielo allucinato. Ogni cosa era lì,

deserta e piena, per noi che attendiamo.

Da “Incontri e agguati”, 2015

Questa sera ruota la vena

dell’universo e io esco, come vedi,

dalla mia pietra per parlarti ancora

della vita, di me e di te, della tua vita

che osservo dai grandi notturni e ti scruto e sento

un vuoto mai estinto nella fronte, un vuoto

torrenziale che ti agitava nel rosso dei giochi

e adesso ritorna e ancora ritorna

e arresta la danza delle sillabe

dove accadevi ritmicamente e tu

sei offeso da una voce monocorde e tu

perdi il gomitolo dei giorni e spezzi

la tua sola clessidra e ristagni e vorrei

aiutarti come sempre ma non posso

fare altro che una fuga partigiana da questo cerchio

e guardare il buio che ti oscilla tra le tempie e ti castiga,

figlio mio.

Da “Linea intera, linea spezzata”, 2021

Udienza

E tu cominci a sentire, nelle parole che hai detto, il respiro

di quelle taciute: sono lì, sono lì, bussano alla porta

non se ne vogliono andare, restano ferme fino a sera,

ti sfiorano il viso e si allontaneranno solo all’alba.

Restano lì e la stanza diventa un’aula di tribunale e tu

sei l’imputato. L’accusa è sempre la stessa: il silenzio.

Le attenuanti non contano: dovevi parlare, dovevi

tirar fuori la bestia, esporre il demone nero al pubblico giudizio,

mostrarlo alla primavera, spargerlo per il mondo, guarire.