Paolo Maccari, I ferri corti

da | Ott 17, 2019

Cinque poesie da I ferri corti di Paolo Maccari, da poco uscito per la collana ‘Gialla Oro’ di pordenonelegge-lietocolle. Il libro raccoglie circa un terzo delle poesie e delle prose che l’autore ha pubblicato a partire dal 2000.

Nel ventre

Come i guerrieri giovani nel ventre
del cavallo di Troia si guardavano
tra le lame di buio, e sorridevano,
poiché sicuri di restare per sempre
nella memoria dei nipoti; mentre
dentro l’attesa spargevano bava
di ferocia e impazienza, e scagliavano
gli animi nel dopo, ove era la cava
della gloria, del rischio, per le tempre,

(Così,
io)

sento nelle viscere un famoso
anonimo pugnale che mi svena,
un conosciuto, un ignoto tormento
da cui vengo alimentato e corroso:
e lui, glorioso, ascolta la serena
folla storpiargli il nome, ogni momento.

*

Età fertile

Facilmente
tutto vaporerà in una ferma
luce arida.
In una ferma
luce di quelle che il bisturi
riceve e rifrange volentieri.
Allora saremo sereni e capaci
di riprodurci in figli
e, una volta tirati fuori,
sapremo addirittura cosa dirgli.

*

Il giorno ha il becco duro e duri gli occhi.
La luce è il suo sguardo efferato, idiota,
che, per miglior sevizia e spasmo, ruota
seguendomi con precisi rintocchi.

Così si squassa il corpo in crocchi
di brividi di una febbre devota
a una malattia senza sbocchi,
a una seduzione di luce vuota.

…..

Comincio a sentirvi. Già vi vedevo
da qualche ora. Ora ascolto le parole
ancora incomprensibili. Carezzo i suoni.

Sfinito, mi rintano con sollievo
nelle note amiche. Mentre con tuoni
di giallo intenso s‟alza, credo, il sole.

*

Ipotesi di guerra nel parco

Se degli alberi le cortecce fossero
armature e lame i rami e i fili d‟erba.
Se le teste di cavallo e di leone
avessero un corpo conficcato in terra
che aspettasse soltanto il loro timone,
se i bambini dalle dita impacciate
lasciassero andare uno sbriciolio nel lago
di polvere da sparo, che nel becco delle
anatre e tra le labbra plastificate dei carassi
agissero da lievito che ingrossa la ferocia,
se poi l‟ordito sanguigno d‟ogni foglia
prendesse esempio dalla trama di uno stemma
che posa e ringhia sulla parete del palazzo,
se tutto il parco fermentasse
adirato fin nelle torsioni delle radici
avviluppate in schiere di amici e nemici

allora anche l’albero fantasma
che svetta sull‟isola pietrosa
e come un faro indifferente mutamente si staglia,
anche l‟albero simbolista animandosi
con stile imprevedibile
darebbe battaglia.

*

Batte…

………….e i suoi colpi
liberano un suono
di rotative che non ha
solo un ritmo
perché dentro il suo ritmo
serpeggia una melodia.
Affilatissima melodia di lima
tra le rotative. Scintille
di ritmo e una melodia.

Io ascolto tutto.
So chi è che batte.
Accompagno sottovoce
la melodia. Il ritmo
dei suoi colpi è il mio.
La lima forse sono io.
Questo non posso saperlo,
saperlo intendo con discernimento.

Peccato: le scintille mi alimentano,
ravvivano le vecchie cinghie
del dispositivo in tumulto,
ed è triste
è proprio triste non sapere
se la lima sono io.

Immagine: Richard Deacon.