NUOVA POESIA AMERICANA. CHICAGO E LE PRATERIE #1

da | Dic 3, 2019

Da poco uscita per Aragno, in due volumi, l’antologia NUOVA POESIA AMERICANA. CHICAGO E LE PRATERIE, a cura di Luigi Ballerini, Gianluca Rizzo e Paul Vangelisti. Pubblichiamo una selezione dal primo volume. A cura di Dario Bertini.

Michael Anania

Un viaggio

per Ted Mallory
(morto nel dicembre 1963)

I. Grace Street

Grace Street, appena a nord
di Clark Street, arruffata,
senza l’esercito dei mattoni rossi,
le case, grigie di legno vecchio
con la vernice scrostata lungo
vialetti in discesa, dissestati,
spaccati dalle radici degli olmi
che li sovrastano
che squarciano i muri di cinta,
spargono il verde sul grigio,
il verde chiaro dei gusci aperti che
s’insinuano tra le crepe dei muri
e per terra sotto
i vialetti inclinati, pieni di crepe.
Grace Street verso est
attraverso le strade principali,
all’altezza del Boulevard,
dopo un negozio sventrato
con una pelle di procione stesa
ad asciugare su muro grigio,
all’altezza della birreria
poi giù per i prati,
verso la fogna a cielo aperto che
sfocia nel fiume.

 

A me stesso e per il 5 Agosto 1964

Ho una cravatta nuova, comprata in Francia
ricordo di un ballo
(a volte sono proprio maldestro).
Adesso che sono troppo vecchio per essere il figlio
che avreste voluto,
com’è che mi sognate tutti quanti
dietro le imposte chiuse
nella luce azzurrina del televisore.
Sono forse diventato un amante
e non un figlio passeggero,
ogni giorno un po’ meno me stesso
e più un Lash LaRue –
un dandy che non molla,
un imbroglione,
come Jesse, mio padre,
il principe dei bari.
Ma io sono un cantautore o un croupier?

Michael Anania è nato nel 1939 ad Omaha, nel Nebraska. È considerato una delle voci più significative dell’universo poetico di Chicago e del Midwest. Ha studiato all’Università del Nebraska e dopo il baccalaureato si trasferisce alla State University di Buffalo, dove viene a trovarsi al centro di un vortice poetico animato da una serie di autori e critici ormai leggendari come Olson, Creeley, Corso, Leroi Jones. Dal 1968 al 2003 ha insegnato letteratura anglo-americana alla University of Illinois di Chicago. Ha pubblicato numerose raccolte poetiche: The Color of Dust (1970, Swallow Press); Riversongs (1978, University of Illinois Press); The Sky at Ashland (1986); Selected Poems (1994); Natural Light (1999); Heat Lines (2005, Asphodel Press); Continuous Showings (2017, MadHat Press).

 

Mary Jo Bang

Romanzo in tre capitoli

I.

Il topo nella metropolitana ha fatto scricchiolare la carta accartocciata.
È passato un tale con un bonsai. La comodità è sfacciata. E la cautela
è un treno. L’avevo detto al prete, è quel tedoforo di Lucifero la causa
di tutti i guai. Non è la fede che ti manca, ha risposto, è la conoscenza.
Verso sera mezza rannicchiata, gli ho dato un bacio. È la mentalità
degli orientali, ha detto il mio amante. Un tipo che sa guardarsi
le spalle, con una voglia. Dove vorresti arrivare? Per lui, sua figlia
e io eravamo due gocce d’acqua. Per me, invece, lui era lui e basta.
Una volta gli ho detto che doveva staccarsi da se stesso. Prima
ha voluto sapere chi fossi. Per svuotarmi e a partire da dove. È la
mentalità degli orientali, ha detto, essere pieni è come finire prima
di avere incominciato. Stavo per ridere, ma mi sono trattenuta. Un re,
in occidente, è un brutto affare. Chi imbroglia però è la regina. Verso
sera, mezza rannicchiata, e pioveva. A quel punto siamo entrati.

 

Questa presunta alchimia

Ti sei preso: un braccio, una mano, una faccia
dal più luminoso di tutti gli specchi.
Ci hanno portato via nel baule di un anno svuotato.
Non intere, mai state, con i crani che ancora non si sono
trovati, finestre con tendine che nessuno può guardare dentro.

E dopo quel violento inizio, la ricerca:
velo dopo velo non sollevato, un codazzo di chierichetti,
[strascicamento
di piedi e sogno, mentre un tale cantava sommessamente
[qualcosa
di gregoriano. Lo stormo addormentato nella colombaia.
[Accucciati,
amore mio, accanto a me.

Amore come trascorso, come indifferente. Luna come
[conclusione.
Pacificazione amareggiata da un disprezzo acculturato.
Accucciati, amore mio, accanto a me. La mano si apre
e mostra il suo dente nuovo. Ci crederesti?
Una volta in queste braccia eri

un diritto di nascita rifiutato, una Duchessa di Windsor, una
[Carissima.
La guancia verrà offerta comunque, ma la sutura,
quella non combacia più.

Mary Jo Bang è nata nel 1946 a Waynesville, Missouri. Si è laureata alla Northwestern University in sociologia e ha studiato fotografia al Polytecnic of Central London e scrittura creativa alla Columbia University di New York. Da 1995 al 2005 è stata l’editor della Boston Review. Ha pubblicato nel 2013 una traduzione dell’Inferno di Dante. Tra le sue altre raccolte si ricordano: Apology for Want (1997); Louise in Love (2001, Grove Press); A Doll for Throwing: Poems (2017).

Paul Carroll

Tonsura (Marcel Duchamp)

Sapeva che era vero
Come era vera la stella che aveva in mezzo
alla nuca  ̶
“Nel regno di mio padre ci sono molte dimore,”

Che per lui voleva dire case piene d’arte
Oppure no. O forse case vuote.
Oppure opere d’arte senza casa.

Per lui era tutto come una pellicola di Nijinski
senza un proiettore;
Un orinatoio che, visto da una certa angolatura,
Assomigliava a una cattedrale;

Una rastrelliera di metallo per lavare bottiglie
Alta quanto un nano
Che poteva passare anche per una corona di spine

Per tutti quelli con la testa troppo grossa;
E una bellissima pala da neve, nuova di zecca appoggiata alla
[ parete di una galleria
Dove l’unica neve da spalare

Erano le chiacchiere che suscitava.
Era un Signore della Danza perché sapeva
Che la risata è musica.

 

Ode ai denti
(Lincoln Park, presso la statua di Green Vardiman Black, Odontoiatra)

Ogni statua è surreale
Con quelle facce color eternità,
E l’aura di quel luogo dove vanno a finire i nostri sogni
[quando ci svegliamo.
Ma questa le batte tutte:
Un monumento ai denti!
Certo che i denti tendiamo a darli per scontati –
Come il fatto che i Sox finiranno in cantina alla fine di
[settembre.
Cioè finché non cominciano a orientalizzarsi,
A ingiallire come quelli di un cavallo,
O quando cominciano a farci male, un dolore lungo
Quanto la lista dei giudici corrotti di Chicago durante
[l’operazione Greylord.
Ogni scolaretto sa che George Washington aveva una dentiera
[di ciliegio.
Ma solo quelli che parlano italiano sanno la storia
Della prostituta controriformista di cui parla il Belli
E nota come “Le grotte vaticane”:
Un giorno con un paio di pinze consacrate si tolse tutti i denti
Per meglio spompinare più cazzi alla volta.
A mio nonno piaceva mettere a mollo la sua dentiera
[consumata
In un boccale di birra di Düsseldorf
Dove nuotava, giocosamente, come un delfino, fino al mattino,
Conoscevo un gallerista qui in città
Che aveva i denti grandi quanto una multa;
Avrebbe dovuto dedicare una mostra soltanto a loro.
A volte penso che la morte mi aspetti con occhiali d’ordinanza
senza montatura e con indosso un camice bianco e sporco
[da dentista
Ai piani alti di un palazzo d’uffici nel Loop
Dove un bel giorno, magari un luminoso, fresco, azzurro
[pomeriggio
di primo autunno come oggi,
Mi tatuerà l’interno della mandibola con un ago pieno di novocaina
E con un trapano scintillante che ha l’aria di costare
[parecchio ucciderà
La manciata di molari che mi restano –
Sentinelle solitarie in piedi fin dai tempi delle Guerre Boere –
E poi li estirperà tutti come ravanelli
Prima di tapparmi la bocca
Con l’ultima vescica di gas esilarante.
“Il padre dell’odontoiatria moderna”sta seduto lì alla fine di
Astor Street fin dalla Prima Guerra Mondiale,
Pelato e affascinante con una barba alla Ferlinghetti
Che ai suoi tempi ha estirpato anche lui qualche dente marcio.
Se ne sta tutto il giorno a sedere tranquillo in uno studio verde scuro
Mimetizzato da una quantità di bambini che gli si arrampicano
[addosso
Mentre lui guarda imperterrito una prateria di denti puliti.

Paul Carroll è nato a Chicago nel 1926. Ha conseguito la laurea specialistica nel 1952 presso l’Università di Chicago. Ha lavorato come redattore per la “Chicago Review” dal 1957 al 1958, e successivamente per la rivista Big Table, che ha pubblicato la sua famosa antologia del 1968: The Young American Poets. Ha fondato il Poetry Center di Chicago nel 1974 per promuovere la poesia attraverso numerosi readings. Ha pubblicato molti scrittori beat tra cui alcuni estratti di William Burroughs di Naked Lunch, che gli causarono non pochi disagi con l’amministrazione dell’Università.
Sempre su Big Table (uscito in cinque numeri tra il 1959 e il 1960) ha ospitato versi di Ashbery, Ginsberg, Creeley, Leroi Jones. È morto nel 1996 nella Carolina del Nord, dove viveva in una piccola fattoria in compagnia della moglie. Ha pubblicato Odes (1969, Big Table Publishing); The Luke Poems (1971, Big Table Publishing); New and Selected Poems (1978, Yellow Press); Garden of Earthly Delights (1987, City of Chicago); The Beaver Dam Road Poems (1994, Big Table Publishing).

 

Devin Johnston

Guardare fuori

Chi guarda da una
finestra aspetta ciò che
non arriva mai, ma vuole
un balenio del mondo esterno.

Tra i rami più alti di
un olmo, un volto che scruta
giù senza motivo sembra
assurdo oltre il davanzale, come avesse
un pollice infilato in bocca.

Un volto alla finestra è privo
d’espressione, sbiancato
dal buio della stanza.

 

Alla maniera di Saffo

C’è chi dice bagliore di metallo, e chi dice fuoco,
altri insistono a dire che sulla terra oscura
non ci sia cosa più bella
di un Sea Harrier
in ascesa verticale. Dico tutte
le cose che preferisci.

Lo sanno tutti – capita ogni giorno che
una qualche Helen lasci il marito, figlia
e casa per salirsene su un treno diretto a
Shreveport o a Cheyenne

– traviata, stavo per dire

eppure quando scende
ha un passo così leggero.
Il che ci riporta a Elena –
che non c’è.

E mille volte ne coglierei lo sguardo
al di là del banco
del negozio piuttosto che vedere
un intero squadrone che s’innalza
spinto in alto dai vettori
oltre le dune.

Devin Johnston è nato a Canton, nello stato di New York, è cresciuto a Winston-Salem e ha conseguito il dottorato presso l’Università di Chicago. È autore di diverse raccolte di poesie, tra cui Far-Fetched (2015), Sources (2008), finalista del National Book Critics Circle Award, Aversions (2004) e Telepathy (2001). La sua scrittura in prosa include lo studio critico Precipitations: Contemporary American Poetry as Occult Practice (2002) e Creaturely and Other Essays (2009). È stato redattore per la Chicago Review dal 1995 al 2000. Johnston ha fondato e dirige con Michael O’Leary la casa editrice Flood Editions. Vive a St. Louis e insegna alla Saint Louis University.