Nome di paese: Ascensione

da | Mar 23, 2025

Alcuni estratti in anteprima da “Nome di paese: Ascensione” di Mario Santagostini, appena uscito per Fallone editore.

I
(RAPPRESENTAZIONE DI SE STESSO)

Poi, ho anche pensato come il DNA, a volte,
sembra retroattivo.
E cammina all’indietro.
E arriva lontano. O si è perduto.
Non so dove, ma è perduto.
E mi abbandona. E fa che il mio, di padre,
non sia padre. Per nessuno.
E che io ho avuto qualcosa di più, o di meno
della vita. Forse,
ho avuto tutto, ma non la vita.
E non mi chiedo cosa era.
Ma come, in certe giornate, le assomigliava,
o sembrava diversa.

E come è stata
più, o meno vicina.

 

ADDENDA

E quanto al corpo, forse è stato messo qui a caso, o solo a intercettare i suoni armonici e non lasciarli svanire nell’aria, più in là dell’aria. Ad altro non è servito, non serve. E la mente è il suo deficit abissale: tira avanti a pensare come fa la specie. L’intera specie. E se ricorda, ricorda tutto. Anche i padri dei padri: se erano fatti come me o se non lo erano. Se negli anni mi hanno dimenticato, e nessuno tra loro ha mai avvertito forme di pentimento, o qualcosa d’altro.

 

II
(RAPPRESENTAZIONE URBANA)

Oltre a piazza Tirana, passata la rotonda del capolinea, si arriva a una specie di spianata. Ci sono baracche, tende per nomadi, hippies. Qualche siriano di passaggio. E uno che non prende sonno da mesi. Svaccato, si appoggia a un camper. Più avanti, uno sciame di vespe innervosite dal temporale in arrivo si alza per volare. Io sento che arriverà lontano. Come se avesse bisogno di due cieli. E che l’ape, anche se infiacchita dal freddo, è la perfezione della vespa, il suo apice evolutivo. Si orienta con le stelle che non vede. E che forse, nemmeno esistono. O si sono perdute. O si perderanno. L’aria è ferma, c’è afa anche se è febbraio. Il cielo sembra qualcosa di paterno e, come ogni padre, incomprensibile.

 

ADDENDA

E ancora qui, anni fa, in un prato, una specie di festa popolare o solo un assembramento spontaneo, o un raduno per una partenza qualche giorno dopo la Liberazione, nel ’45. O un comizio. Bandiere. Megafoni inchiodati agli alberi, forse un temporale in arrivo. Sfollati tornati a casa. Si parlava anche di una bomba inesplosa, nella spianata. Fatta brillare dopo, verso il ’70. In un tempo diverso. E di due, tre repubblichini sbandati e beccati in una cantina. Portati di peso lì e sputtanati, o picchiati per ore intere. Uno alto, tirato. Che sembrava non aver dormito per giorni. Decenni dopo, quasi mi hanno scambiato per lui. Ma di questo, più avanti.

 

III
(RAPPRESENTAZIONE URBANA, CON IL GIOVANE LUCIANO ERBA)

Forse, la vita con tutti i suoi strani materiali,
voluti e non voluti,
sono stati una specie di passo indietro.
E non so da dove.
E anch’io sono uno-due passi indietro
da chi, una sera, stava sul corso.
E vedeva i tram allo stop cambiare binario.
Mancavano, e mancano, non so più quante fermate
per arrivare a quelli
che il giovane Erba ha chiamato – i quartieri
senza ricordo. E molti anni.

E non so quanti, di anni, ne mancavano
prima che il giovane Erba
ritornasse fra noi.

E altri ancora, prima che non tornasse più.
In una città diversa e mai più vista.
Ma ancora in questa, di vita.

(1972-2021-2024)

 

(UNA NUOVA LETTERA)

Sai, rifletto spesso su quella che Giovanni Raboni ha chiamato: – comunione dei vivi con i morti. Ma anche in Bertolucci c’è qualcosa di simile. Ho sempre fatto fatica a capirla fino in fondo. Non trovo immagini, forse non ce ne sono, almeno per ora. E non arrivo lontano. Posso solo pensare a me stesso, a quando retrocedo con la memoria. Che in certi momenti, chiede aiuto. E inventa. E a volte, sente profondamente come la mia vita è cominciata prima del 1951, o in un tempo ormai troppo difficile da capire: tutto era incerto. E a quel punto, azzarda date, passaggi, luoghi. Anche persone. E da lì, non la schioda nessuno. E queste righe, e quelle venute prima non sono arrivate a caso. Continuo: forse, non è più memoria ma qualcosa d’altro. Forse, è perfino una forma di beatitudine o una sua variante minore, o una qualche strana surroga, questo non sapere se c’ero, se non c’ero. E mi chiedo se è solo il caso. O se c’è anche del divino e sgangherato umorismo, qui e non solo qui. Sappimi dire, oggi o un altro giorno, se sbaglio. Come è possibile. Magari, me lo hai già detto e non ricordo. Mario.

P.s.: Come puoi capire, in questo momento ignoro a chi mi rivolgo. Forse a nessuno. Decidi tu, chi essere, chi non essere. Se rispondere, non rispondere mai. Aspetto.