Nella sua altra Irlanda

da | Set 29, 2022

Cinque traduzioni inedite, a cura di Giorgia Meriggi, da “The Girl Who Married the Reindeer” (The Gallery Press, 2001) di Eiléan Ní Chuilleanáin, tra le voci più significative della poesia irlandese contemporanea. 

 

NELLA SUA ALTRA IRLANDA

È un paese piccolo. Il vento soffia dalle
dune coprendo di sabbia l’ampia strada.
Il lastricato è bagnato, qua e là, spessi strati di vetri rotti,
la luce si disperde in lunghi artigli.
I nomi sono solitari, le imposte vuote —
non c’è nessuno in giro quando soffia il vento.

La maestra delle novizie le ha mandate tutte
nel coro al piano superiore, a officiare
per la liberazione da tuoni e fulmini.
I lampi screziano le vetrate zigrinate,
l’harmonium ansima dalla fatica,
in cima alla torre l’uragano picchietta il suo ritornello.

E sul prato del luna park la giostra
turbina fischiando. Il vecchio ha raggiunto
il suo aiutante sulla pedana. Urla a suo figlio
di lanciargli una fune per fissare il pilastro
allentato, prima che il tendone o l’intera ruota
si sollevi e vada alla deriva sfracellandosi.

Ma la giostra è fuori controllo, macina velocità
con un ringhio che sovrasta i tuoni. Ha ricominciato
a piovere; l’aiutante del vecchio,
faccia scura con i baffi, si regge.
Provano a fermarla con il loro peso,
urlano al più giovane di aggrapparsi alla fune;

è un paese piccolo, un paese piccolo;
non si sa dove andare quando soffia il vento.

 

CAPITOLARE

Ora nel sonno li sento oltre il muro,
un borbottio della sala capitolare dolcemente ininterrotto:
il suono che udiva la bambina, svegliandosi e assopendosi di nuovo
durante la lunga notte acquattata in biblioteca,
mentre il padre raccontava la sua storia al cappellano
e poi la ripeteva al vescovo.

Lei sentiva il suo accento monotono, da sempre inclinato,
rispondere ai semitoni di Maynooth,
una pausa, e poi i bisbigli dello scriba
che spazzava il latino come la polvere dalla scopa,
allinenado gli ablativi, il sibilo
di una contadina raffinata, e il neutro raschiare della penna.

Sento il ticchettio delle loro voci e ricordo come
mia sorella ancor prima di nascere ascoltava per ore
nostra madre esercitarsi con le scale al violoncello;
un brontolio di spesse corde, e poi il risalire
della nota alta che alzava
che alzava la testa
come una foca —
della nota alta che alzava la testa come una foca nell’acqua.

 

UN’ONDA

Quando ritorna l’onda?
Ora tutto è fermo,
la superficie è tesa e sinuosa.

Si muove quasi fosse attirata dal tempo futuro
mormorando come il vociferare pettegolo di una folla,
accumulando scogliere di glossari.

Ritirandosi trascina via sassolini, martellante, scarica
sulle bocche aperte macigni di parole adulanti.
Così le parole sono là, ma immobili. Quando l’onda torna
indietro

sommerge il braciere del guardiano
e le grida maccheroniche della strada,
l’onda si abbatterà su tutti i nomi.

Le parole saranno lì, ma già
scritte nel nuovo corsivo,
esitanti come spume sulla cresta di una marea,

una pellicola e un’increspatura che si alternano,
trasparenti come ghiaccio sottile svelano
un prezioso mosaico di sabbia.

I pesi sono sepolti,
l’acciottolato del cantiere
affonda in profondità con la sua zavorra di frammenti.

La voce dell’onda sarà tutto ciò
che ci aspettiamo di capire.

 

ANACORETA

Nella sua ultima stagione era cambiata.
Il pellegrino non avrebbe trovato
che il vano ricoperto di muschio accanto al portico della chiesa
da cui un tempo passavano l’acqua e una pagnotta.

Poche parole, un ordine. Si, lei sapeva chi era lì,
ancora pregava per tutti chiamandoli per nome. Ricordo
quando mi donava un’ora delle sue visioni,
quando levitava — era sempre stata sorda —
quando l’esile musica della zampogna risuonava oltre l’inferriata.

 

NELL’ALTRA SUA CASA

Nell’altra mia casa i libri sono tutti in fila sugli scaffali
e la curiosità potrebbe indurre a tirarli giù.
Il postino porta lettere a tutta la famiglia,
la tavola è apparecchiata e sparecchiata da mani invisibili.

Sono i morti a servirci, e io vedo
il bicchiere di mio padre, sottomano la bottiglia di acidula
birra scura, sorvegliare il suo posto (so che non è reale,
è l’unico ragazzo con sei sorelle a non avere mai imparato

a mettere in tavola, ma i libri sono disposti secondo il suo volere).
In questa stanza con un fuoco, libri, un pasto e un istante
in cui tutti scompaiono per andare a lavarsi le mani,
un uomo entra dalla porta, si toglie il cappotto,

si gira come un ballerino e prima di toccare terra
agguanta un giglio da qualche parte. Dove è passato lui,
si svuotano le tasche ogni volta che si apre una porta;
ma il fiore ha viaggiato con lui ed è in buone
mani —

su una mensola spicca una lettera con un grande francobollo colorato.
Lui borbotta ancora una volta, Avanti, in nome di Dio —
fuori echeggiano voci di donne, lui fa un respiro profondo e
rapidamente
torna a conversare con il fuoco, sorridendo e scaldandosi le
mani —
in questa casa non c’è bisogno di aspettare il verdetto della
storia
e ogni pagina rimane aperta alla versione di tutte le altre.