Maria Teresa Carbone, Calendario

da | Gen 18, 2021

Cinque poesie dal libro di Maria Teresa Carbone, Calendario, da poco uscito per Aragno.

 

si definirebbe felice se la parola felicità non la spaventasse
almeno quanto la parola infelicità

il bambino si sveglia a ore regolari
lei lo allatta
si sente un corpo efficiente
come sempre lavora
il bambino è presente
ancora nel suo corpo
sogna di scrivere una storia

c’è una donna
non ha una faccia ma forse le somiglia
la donna ha un bambino lo ha avuto da poco
come lei
come lei lo accudisce lo ama
ma non sopporta di essere necessaria
non è capace di essere necessaria

la donna soffoca il bambino
come si soffoca un desiderio
poi capisce che sarà schiava per sempre

lei sogna di scrivere la storia
ma non la scrive e la dimentica

la sera di Natale
il bambino eccitato saltella intorno alla sorella più grande
ride, anche lei ride
lui la spinge, anche lei spinge lui
il bambino cade, continua a ridere
il padre urla alla bambina
sei cretina lo sai che
sei cretina dimmi che sai che
sei cretina
la bambina dice sì

io sono la sorella più grande, il padre dei due bambini è mio fratello
a me piace torturare mio fratello
mi fa sentire potente
mi piace chiuderlo nello sgabuzzino al buio
lui urla e io rido
a volte lo chiudo dentro quando ci sono le mie amiche
mi sembra di offrire uno spettacolo divertente
mi piace anche montargli in groppa
lui è più piccolo di me ma non si lamenta
quando mi chiedono vuoi bene al tuo fratellino
io dico sì

 

*

quando sfioravo il polso di mia madre
il sangue saliva scuro in superficie
col tempo la pelle si fa più sottile

un tempo dicevamo bello e brutto
ogni cosa aveva il suo contrario
adesso siamo sullo stesso lato, vecchi

 

*

descrivi questo senza averlo visto
prima che tu arrivassi il corpo era vivo
l’odore era di nebbia
tu non conoscevi la traiettoria

ti trovi in una terra straniera
ti avevano detto
la violenza non richiede attenzione
hai tempo di vedere l’animale

i bambini gridano
hai chiuso gli occhi per non sentire
l’animale è lontano
basta che tu ti giri per sapere che c’è

il sangue circola ancora
il muscolo fa ancora il suo lavoro
è lontano il tempo dei sacrifici
le offerte su altari invisibili

il colpo è un segnale
non sai che sta partendo
nella nebbia non senti l’odore di bruciato
il metallo attraversa tessuti caldi

i bambini hanno smesso di gridare
l’animale ha smesso di muoversi
pagherai per la sua carne
non conoscerai il suo sapore

 

*

sulla mappa confusa
di questo tempo mio
manca il puntino rosso
io sono qui
qui e non altrove (io)

 

*

Terzo quarto: del tempo

aperto dopo il sogno l’occhio
scorre in sovrimpressione
the end la coda della notte
dissolvenza
domani è un altro giorno
è oggi

……….ieri parlavo con la vecchia
……….di cose di famiglia dei miei figli
……….che fra dieci vent’anni
……….in quella terra incognita il futuro
……….la pausa paurosa si posa
……….sull’assenza di lei e sulla mia

con la sua gonna verde
pisello primavera
coi tacchi tic tac sul pavimento
accoglie il tuo ritorno figlia
dal buio e fa festa e fa finta
che non la lascerai di nuovo

……….ore ad aspettare battendo il piede
……….all’affannata uffa sbuffa
……….niente scuse ti prego non cercare
……….di mostrarti contrita
……….ogni volta smarrita pecorella
……….e io pastore dei tuoi minuti

minutissime scaglie di memoria
frammenti di ricordi fra i denti
esplodono in testa nella bocca
sapore semifreddo
la mano semivecchia stringe il filo
del palloncino-papera

……….qua qua venite qua bambini
……….fuori piove voi sotto la cappa
……….della maternità gli strappi
……….cresceranno tu intanto
……….li chiami li tieni al riparo
……….nel temporale presente

sente ma come sente il tempo il cane
senza orologio senza calendario
allatta i cuccioli invisibili
quando hanno fame
sente la sera il sonno
la fine quando arriva

……….attiva avvita gli attimi
……….gli uni agli altri ben stretti
……….impacchetta le ore
……….in fretta confeziona settimane
……….ricordi nei barattoli
……….con etichette vivaci

musichette latinoamericane
si infilano nel letto a ondate sghembe
asimmetriche piegano
le gambe lungo impossibili piste
scivolano e uno e due e tre e quattro
batti il tempo sconfiggilo

……….senza pietà si spia dentro lo specchio
……….dentro la pelle molle
……….la pelle millefoglie
……….non è una torta
……….che la metti in vetrina per
……….chi passa non si ferma purtroppo

per fortuna tu dici il nuovo avanza
lo guardi come guardi un neonato
svegliata all’improvviso
la faccia familiare e aliena
sa di speranza speri
il suo odore acido-dolce

……….tiramisù ti prego
……….quanto è lungo il dolore
……….non misuro col metro
……….le tacche alla parete
……….segnano dodici cedimenti
……….dodici stazioni di lutto

il letto la notte è la zattera
il tappeto volante
il dio onnipresente
incurva l’arco delle ore
scorrono ere in un respiro
eri qui e non ci sei più

……….meno tre meno due meno uno
……….zero il tempo che manca
……….alla partenza ti volti indietro
……….seduto sul baule in anticamera
……….ti incanti inciampi
……….chiudi gli occhi per non vedere

in lontananza il mare
da attraversare
con la bambina nascosta
qualche volta avrò voglia di gridare
i miei capelli cresceranno ogni giorno
mi ripeto che correre non serve

(NB. Quest’ultima poesia non riproduce la grafica dell’originale. Ci scusiamo per l’inconveniente)

 

Immagine: Jonathan Monk, Not Me, Me.