Macchine movimento terra

da | Mar 11, 2013

Nel tempo che invece non esiste
che è un’illusione o solo svolgersi
ordinario fino a maturazione e fine, arresto
definitivo per lo spin del misero soggetto
nel paradosso semplice del mondo,
giacciono strati, subsidenze, depositi
di inesplorata materia remotissima.

In piazza Sant’Ambrogio, verde,
nei suoi spettacolari rotelloni
d’argano, adagiato, per chissà
quale pausa, enorme, il mostro
tra fango e macerie e cumuli,
fogliame, come una bestia antica,
preistorica, un ovriraptor
o brachiosauro che morde
e smuove, con lento metodo,
implacabile, che affonda, paziente,
fra strati muti di sepolte storie.

Afferra, nella sua morsa formidabile,
il cucchiaio artigliato, un antichissimo
ferro tutto incrostato, fra condotti
e tubature in terracotta in mezzo a mucchi
di terra, terriccio a grumi indistinguibili,
compenetrati nel metallo granuloso
delle condutture, accanto all’uomo,
all’operaio scuro con la giubba gialla
e il calzoncini, come un bambino nel cortile
sul compressore colorato.

Ma poi, rialzandosi, la benna colma
stride, mentre contemplo
quei grumi tutti secchi, grumi
di fango e vermi. Il fango
rappreso sotto i cingoli o sul rullo
vibrante. Finché alla fine è quasi
un vasto, lento boato
o un lamento animale.

Lo scavo avviene forse
per nostalgia diffusa di una realtà
porosa eppure affabile, e densa
di terra, forte, di sudicia
terra totale dove
sprofondo volentieri.
Però  io adoro il presente
perché solo il presente contiene
tutto quello che è stato
ma il presente sospeso, la luce,
questo blocco di terra pressato.

Carlo Carabba è nato a Roma nel 1980. Ha pubblicato le raccolte di poesia Gli anni della pioggia (peQuod, 2008 – Premio Mondello per l'Opera Prima), Canti dell'abbandono (Mondadori 2011 – Premio Carducci e Premio Palmi) e il memoir Come un giovane uomo (Marsilio 2018 – selezionato al Premio Strega). Lavora nell'editoria.