Luminose cose morte

da | Giu 26, 2025

Cinque poesie in anteprima da “Luminose cose morte” di Ada Limón, da poco uscito per La nave di Teseo nella traduzione di Marilena Renda.

 

TORNARE SELVAGGE

In cosa dovremmo credere dopo?

Sulla tomba del fratello di Daniel Boone c’è scritto: Ucciso dagli indiani.

La indichiamo col dito, la colpiamo come una ferita –
il cappio della storia.

Sotto la tomba scorre una sorgente fredda.
Chiara, come una coscienza.

Adesso, sono sola.

Solo io e le ossa bianche della mano di un animale
comparse nel limo.

Rimane il mistero di come la pupilla divori
così tanta bellezza bastarda. Proprietà abbandonata.

Questa terra e io stiamo tornando selvagge.

Un uccello che non conosco ma che seguo con il mio occhio ancora-vivo.

Il giorno davanti a me si spoglia nel caldo umido del sud –
bocca di fiore,
polline bruciato,
sudore d’ala.

Non voglio essere solo il paesaggio: l’osso è sepolto.

Lasciamo che il soggetto sia
il movimento dell’asteracea, la senape,
il cardinale rosso, la ghiandaia, la generosità.

Non voglio niente,
nemmeno mostrartelo –

l’erba del becco, il callistemone, l’infiorescenza del tarassaco,
paracadute e corona,
tutta l’intenzione dei desideri, il perdono,

l’esistenza unica di questo giorno nel tempo,
il campo di erba nativa che fiorisce egoisticamente, solo per se stesso.

 

 

RICORDO LE CAROTE

Non ho smesso di cercare di vivere una buona vita,
perfino una vita molto buona, seduta in cucina
in Kentucky, immaginando quanto sarò amabile –
i progressi dell’appagamento e del desiderio –
tutti questi bisogni soddisfatti, e poi insoddisfatti di nuovo.
Quando ero bambina, mi piacevano le carote,
quei ciuffi contorti e brillanti nella terra del giardino.
Le strappavo tutte. Rompevo le nuove radici
e le portavo, come un premio, a mio padre
che mi rimproverava, giustamente, per aver rovinato l’intero raccolto.
Le amavo: erano le mie luminose cose morte.
Ho trentacinque anni e ricordo tutto quello che ho sbagliato.
Ieri stavo bene, ma in realtà non sopportavo
la contentezza del campo. Perché ci esercitiamo
alla resa? Voglio dire: ci sono ancora giorni
in cui voglio uccidere le carote perché posso farlo.

 

 

UN POSTO COME IL MONTANA

– per Trish –

Adesso, quando vado al supermercato,
sono sbalordita dalle ampie corsie di cibo
brillante e alimenti, completamente diverse
dal negozio in cui ho fatto la spesa per anni,
a Brooklyn, tra i bar che ci piacevano.
Una volta, mentre stavo andando a fare la spesa,
incontrai T, e decidemmo che avevamo bisogno
di bere invece che di fare la spesa, e così facemmo.

C’erano un sacco di birre alla spina,
ed erano tutte diverse, come giocattoli
nella scatola dei giochi di un dentista, perciò dissi,
io prendo quello che prende lei,
e forse fuori stava nevicando,
mi sembra che fosse quel periodo in cui
ogni camicia che compravo di seconda mano
si rivelava trasparente,
ma non lo scoprivo finché non uscivo.
Perciò, un sacco di conversazioni cominciavano con,
Questa camicia è trasparente?, e lo era.

Parlammo per molto tempo, le buste della spesa
vuote sulla sedia, ed entrambe dicemmo qualcosa a proposito
di andare a vivere in un posto come il Montana
e di come qualche volta sarebbe stato bello
vedere più cielo di quel piccolo quadrato
tra i ponti e i palazzi, ma allora
avremmo sentito la mancanza di Brooklyn, e l’una dell’altra,
e ordinammo un’altra birra.

T stava scrivendo uno spettacolo teatrale, e degli articoli,
ed entrambe avevamo bisogno solo di un po’ di soldi
e forse di limonare con qualcuno
che non fosse uno stronzo. E poi volevamo
fare della grande arte. T era molto brava a dare i nomi
alle cose perciò decidemmo che lei sarebbe stata una Titologista
e a lei l’idea piacque, perciò accettò.

Cosa faremmo se vivessimo
in un posto come il Montana?

Faremmo passeggiate, guarderemmo gli alberi,
scriveremmo e guarderemmo il cielo.

Sì, e potremmo cucinare e andare in quegli enormi supermercati
che hanno le macchine giocattolo attaccate ai carrelli così i bambini
possono far finta di guidare.

Sì, e probabilmente avremmo anche dei figli.

Tutto questo sembrava molto lontano e molto diverso da noi,
perciò ordinammo un’altra birra e dicemmo, La vita è lunga.

Adesso, sto vagando in un supermercato
del Kentucky e ho appena guardato gli alberi, e il cielo,
e dovrei scrivere qualcosa, perciò chiedo a T di dirmi
su cosa scrivere, lei dice, Saturazione, e io penso
a quella sensazione, quando sei realmente pieno, o è piena la vita
e tu pensi che nient’altro possa starci ancora,
ma a quel punto arrivano più cielo e più giorni
e c’è così tanto da ricordare e ingoiare.
Chiedo a T come dovrei chiamare il pezzo sulla
Saturazione, visto che è una titologista, e lei dice,
Un posto come il Montana.

 

 

FICO D’INDIA E SCAZZOTTATE

Mio fratello maggiore dice che lui non si considera più latinoamericano e io capisco cosa intende, ma guardo lo strano frutto che tengo in mano e mi chiedo cosa significhi perdere uno strato spinoso. Sta spiegando come siamo cresciuti tra la bassa borghesia bianca e come non conosciamo nessuna cultura tranne forse la cultura del nord della California, che vuol dire che siamo spesso strafatti e guardiamo male gli ipermercati. Io voglio fare qualunque cosa lui dica. Voglio essere qualcosa interamente senza parole. Voglio essere senza lingua o umore. Due giorni fa in Tennessee qualcuno ha detto: Smettila, Ada è messicana. Non sapevo di che cosa parlassero finché uno di loro non ha detto: Almeno non ho detto sporco messicano. E tutti hanno riso. Onestamente, se avessi bevuto un altro bicchiere avrei potuto colpire qualcuno. Dare inizio alla lotta finale della serata. E non mi importa quello che lui dice. Mio fratello si sarebbe abbassato oscillando e avrebbe affrontato tutti i bifolchi bianchi della stanza.

 

 

FUOCHI DOMESTICI

Incoronata di recente da un taglio spaventoso,
piego due volte la coperta d’acqua per rimanere viva.

Pietre tombali nella grotta del cuore, spurgo
di ciò che è rimasto dopo che la montagna è esplosa.

Più nessun bambino, non ci sono belle vittime
o cattivi unti e cavernosi che sputano fiamme.

Solo una settimana fa, mi chiedevo come questo, questo
sarebbe stato, essere completamente distrutta.

Le donne dell’Appalachia stanno guardando
ogni casa avvelenata da aria cattiva e acqua mortale,

i loro parenti perdono i denti. Cancro al fegato,
la cistifellea piena di spurgo nero come carbone, e ancora

difendono le montagne che hanno amato, rabbia
nei cumuli di carbone per la loro origine profonda come sangue.

Come deve essere, mi chiedo, temere la caduta
ogni giorno? Magari domani diluvia. O magari moriamo.

Guardare fuori i fuochi di carbone che bruciano
ogni ora, incessantemente, per cinquant’anni e sapere

che la tua terra può essere condannata, rasa al suolo, e non volere
semplicemente sdraiarsi e morire. Io non sono così forte.

Il male si è infiltrato nella casa che ho costruito,
e voglio raderla al suolo. Sorella, dimmi

come sopporti la furia assassina. Tu
ancora canti, io desidero demolire, mangiare esplosivi.

Come avrei potuto immaginarlo? Me mortale,
brutale disastro nato da così grande avidità.

 

NB: Non si è potuto rispettare sempre la grafia dell’originale. Ci scusiamo per l’inconveniente.