Le campane

da | Gen 25, 2022

Sei poesie in anteprima da “Le campane” di Silvia Bre (Einaudi, 2022).

 


La luce di qualche verità
qui è eclissi
gli sguardi le cantano il buio.
Anche la grammatica fa
il suo salto mortale
e non lo sbaglia e muore.

 

*

È da lontano che viene, e non per noi
 
arriva e fa pensare che fosse qui
da prima
e prima di muovere commuove
mentre sembra che cada
come accade a noi
stessa voglia di spazi, stesso firmamento
da rinchiudere perché stia vicina
perché sia imprendibile.
 
È l’origine. Noi
ci industriamo, ma siamo senza voce
verso lei,
senza più armi
come le stelle contro il loro buio
in pace
dentro una differenza che uguaglia

la parte per il nulla.

 

*

Forse non affioro in questo suono, ciò che sono
vuole entrare nel paesaggio, l’occhio
trasuda desiderio – come è sola la vista.
Dal tempo dove tutto muore sale l’immagine
una misericordia. La colpa
è rimanere in me senza volere
appesa a una corda vocale a rapire un’orma
vederla passare nell’attimo, chiamarla
fare senza.

 

*

E a chi ti dice nomina il tuo centro
la sorda dominante che ti agita, tu che non basti
a incoronare il pentirsi zoppicante delle sere
quando la compresenza silenziosa strazia
e non arrivi a tenere tra le braccia tanta cenere               
scalza nell’oltre delle tombe, nelle facce deturpate dalla grandine,
dichiara il centro, accusano, quale fuoco avvolge una che piange,
entra nella tua specie come bestiame d’alberi
tra gli interstizi del come, il bosco della bocca
quando dormi, la tensione straniera che ti aggancia
nella dimostrazione, lo sconosciuto che ti conosce e ti dilapida,   
dillo trionfando che non ci sei, non hai cuore,
è un’altra l’unità da pronunciare, ebete,
e non sai quale, non sai farlo.

 

*

Cimiteri di campane via dal mondo
fanno l’unione della terra all’erba, vegliano
sulla diaspora dei morti, trame dell’insaputo,
nessuna luna ha una febbre così fredda
di rimanere ferma nelle notti, devota al vuoto.
Ma un’aria protesa è un fulmine, il venire meno
al loro patto insegnando senza luogo la disfatta
e non è alta la nota della fine ma si immagina tremenda,
la sua ferita fino in cielo è non morire.

 

*

Questo diventi, mia acuta differenza
spartita dalle correnti d’aria, squilibrio
rincorsa, tuoni di nostalgia in un suono perso
che si fa dilaniare a ogni rimbombo.    
Ma io resisto, ti sto murando col gesto del vento
ti tengo ferma via da me
ti impongo all’universo.