Antitesi, una crepa tra dentro e fuori – Le forme della poesia /6

da | Gen 31, 2017

La sintassi dell’antitesi presuppone che nell’uomo vi sia una crepa tra dentro e fuori: la scorza non è mai il ventre di noi poiché l’accetta è uno scudo, il coniglio un cratere, la nuvola un laccio.

La vicinanza e la simmetria dell’accostamento di parole, gruppi di parole o frasi rendono l’antitesi un potente motore ritmico capace di spaccare in due la sintassi e di dare un aspetto drammatico a un dilemma talvolta impossibile da superare. Il rischio dell’antitesi però è proprio in quel ma, o comunque nel secondo termine della contrapposizione, che si è portati a considerare negativo, come corrodesse l’issarsi della volontà: se ciò che ci muove è autentico, ma viene deviato quando affiora, spianando lo scarto tra superficie e profondità, lo stare nel mondo troverebbe un binario, uscendo dalla palude.

Pace non trovo e non ho da far guerra (F. Petrarca, Rvf CXXXIV); E tremo a mezza state, ardendo il verno (F. Petrarca, Rvf  CXXXII); D’amore non esistono peccati, / s’infuriava un poeta ai tardi anni, / esistono soltanto peccati contro l’amore” (V. Sereni, Quei bambini che giocano, da Gli strumenti umani); A che condizione, occhi miei, sete, / che chiusi il ben, e aperti il mal vedete? (L. Ariosto, Orlando Furioso XXXIII, 62, vv. 7-8). Secoli di letteratura sono lì a dire che in realtà la questione ci investe più alla radice: non solo siamo in punta di noi e agli altri offriamo il carapace forbito, ma dentro ciascuno di noi abitano due o tanti coinquilini, talvolta nemici, piccoli e grandi. Quando esitiamo nei bivi, quando il desiderio si scorna con la paura, quando vogliamo due cose impossibili, s’incarna la nostra natura incoerente e irrisolta. Il mio viaggiare / è stato tutto un restare / qua, dove non fui mai, scrive Caproni (Biglietto lasciato prima di non andar via, da Il franco cacciatore). Non possiamo farci nulla: bisogna fare i conti con questa condizione senza tentare di risolverci, come invece accade a me, quando mi mangio la testa perché esitare mi rivela a me fragile e credo disperda invano il mio tempo. Tuttavia nel tempo immoto dei bivi si coagulano le possibilità pensate e impossibili e si scorge la natura della nostra specie, non solo spartita tra mondo reale e immaginato, ma divisa già dentro, poiché siamo assediati da piantagioni di propositi e dubbi. Presta bene orecchio, / amico, a quel che dico. // Tu miri contro uno specchio, / sparerai a te stesso, amico. (G. Caproni, All’amico appostato, da Il conte di Kavenhüller).

Mentre in logica non può essere completamente vera un’affermazione e la sua negazione, l’antitesi sancisce che per l’uomo vige il principio di contraddizione. Dovremmo accettare che essa sia il campo di battaglia tra elementi magari inconciliabili, ma che al tempo stesso, convivendo, nutrono il nostro nucleo informe. La sintesi dell’antitesi è l’inevitabile contraddirsi.

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Immagine: Art & Language, The Impression of Liars’ Voices, 2009.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).