L’animato porto

da | Lug 19, 2015

Sei poesie da L’animato porto (La Vita Felice, 2015)

***

Avessi avuto fratelli scatenati
a giocare con me finché vien buio
una madre che mi stringe al petto
avi e padri in battaglia
e camini accesi in ogni stanza
e sui camini stemmi di una stirpe
che non ha fine.

Avere avere. A che serve l’essere?
Non lo vedi? è perduto.
E il dire? O è già detto o indicibile
ed è ben poco contro la paura.

*

In una nevicata dell’infanzia
quando non so, ma so che c’è la guerra,
siamo in campagna, prato sottocasa,
c’è mia madre che grida
dammi la mano non andare via
e al bastardino torna qui malvagio,
e lui che abbaia,
pazzo
beato
come siamo noi
perché non c’è mio padre.
Noi figli incustoditi e sconfinati.

*

Rainotte. Nulla può più accadere.
«Per oggi è tutto,
vi ringraziamo per averci seguiti.»
Un lampo: ho spento, e non devo più nulla.
Sotto le coltri
con l’amante sonno
coi piedi tocco la felicità
tutto il corpo è speranza.
Alle tre ancora nulla, non un suono,
non c’è più il mondo,
il leviatano dorme.

Notte innocente che non sa di ore
né del primo biancore
là verso i monti sopra la ferrovia,
lo stupro della luce che ritorna.

*

Eredi di pudori da signori,
di lealtà e di compitezze estinte,
li trovi solo giù nel Sud che muore.
Sono i veri europei.
Tu, per esempio tu fra le sorelle:
cosa sono oggigiorno settant’anni?
Tu scrivi e scrivi anche romanzi,
usi “egli” ed “ella” e passati remoti e congiuntivi,
e t’infervori ancora negli studi
e stai mesi in Germania
nelle tue stanze sulla Selvanera
e non credi alla fine dell’Europa.

«Che cosa pensi» ci chiediamo al telefono,
«del disastro italiano?»
«E il tuo privato?» chiedo poi con riguardo.
Mai che l’abbia detto apertamente
ma si sapeva,
mutati i tempi, solo ora gli riesce:
«Sono felice
e mai ci avrei creduto,
ah pensa pensa! il mio,
il mio… – e qui non trova la parola –
è… giovane, ha appena quarant’anni.»

*

Creme luci specchiere
e i loro nomi – Jole Sabri Ileana
e Jack e Lillo e Pierre.
Ma quanta angoscia:
negozi chiusi anche in questa via,
clienti pochi eppure siamo in centro,
la Jole, la padrona, tacchi alti e cintura di serpente,
ha promosso con il vicinato
una class action perché si sospenda
la zona A, il divieto di traffico.
Smog? co2? Ma dove, chi li vede?

Intorno a me, col fon e con lo spray,
volteggia Sabri angelica,
la “ragazzina”, l’ultima arrivata
gambe da ibis
guance di camelia,
sarà la prima a esser messa fuori.
Quando con me ha finito
va a sedersi, in disparte,
le ditine sgranate avanti a sé,
a laccarsi le unghie di blunotte.

*

Ik gihorta dhat seggen, “io l’ho sentito dire”.
Così intonava, è notte, è Medioevo,
il longobardo il Canto d’Ildebrando,
la cetra in grembo.
Notte, bufera, tutti intorno al fuoco,
fuori è l’urlo terribile della “caccia selvaggia”,
così si chiama,
è il dio degli avi che conduce i morti
i caduti in battaglia non i vili,
il dio con l’occhio solo, manto e cappello azzurro
Odino, lo sciamano.

Non ci credono più però non sanno
se il nuovo, il cosiddetto Cristo bianco,
sia una promessa.
Parla di ultimi che saranno i primi
di beati pacifici che non muovono un dito.
E dove va il sapore della vita?
Questo è il punto, signori,
e no ai tutti uguali,
che il tuo sé si distingua.
Così bevono e pensano i guerrieri
e fluisce il racconto,
quel sentito dire,
la meraviglia, la bevanda madre
delle proprie radici.

Immagine: Marina Abramović, In The Sea of Silence, 2013.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).