La terra, l’uomo, le bestie…

da | Set 14, 2022

Cinque poesie in anteprima dall’ultimo libro di poesia di Alberto Bertoni, che esce in questi giorni per la collana “Gialla Oro” di Samuele editore-pordenonelegge. 

 

UNA LARVA

(a Giampiero Neri)

Oggi ho partorito una larva
dal polso mentre guidavo
prima un’ala poi l’altra
chissà dove incubata, chissà quando

Per un momento sono stato il babbo
anzi, la mamma della larva
finché non hanno detto basta
l’aroma di pipì nell’aria
della mia casa, il
dentifricio che manca
o la risacca di carta
per terra e negli infissi
morta la larva adesso, annichilita
dalla pressione di due dita

 

 

ANIMALI NEL MOMENTO DELLA MORTE

…il problema è come
dopo la morte riascoltare
chi di una storia ci ha svelato
i dedali infiniti delle tane
intanto che i parchi
gli incroci i profili delle case
urlano implorano piangono
tutte le sagome più care

Come farfalle inchiodate
o come talpe quando vanno a cozzare
contro la roccia naturale,
dura e minerale
siamo animali da trapasso,
reliquie abbandonate
nelle scatole da scarpe
o resti indecifrabili di sogni,
sparute in genere ed assorte
sillabe roche

E alla fine le loro
ombre distorte

 

 

LA TERRA, L’UOMO, LE BESTIE

(un frammento)

Pensava MALIN:

non c’è scimpanzé che pensi
di pensare. Le cose sì che sono divisibili,
ma le creature no. Nel caos ogni corpo
avrebbe un peso diverso. è possibile che i cani
abbiano paura del futuro. La macchina senza volto
manca di contesto. E non spiegano mai, le leggi della scienza,
perché ogni novità sempre e comunque arricchisca
anche se la domanda sbagliata
non rimanda a nulla. La natura infatti compensa
i salti pericolosi. E l’atomo prudente al giorno d’oggi
bada solo alla propria salvezza. A ogni costo,
sicurezza. Ma prima la quieta pianta
domina la materia cui subito dopo è sottomessa,
con un impegno privo di coraggio;
la bestia concede più stabile status a chi si nutre
della sua carne e lo aiuta mentre l’assoggetta.
Ancora più strani sono i modi del genere umano,
perché l’Ego è un sogno fin quando
il bisogno di un vicino non lo chiama per nome.
L’uomo non ha il minimo mezzo:
gli specchi lo deformano, anche le più verdi Arcadie
sono piene di fantasmi e le utopie oscillano
fra eterna giovinezza
e suicidio.

 

Pensava ROSETTA:

dal Seager’s Folly
abbracciammo in uno sguardo quel che era nostro:
terra ondulata e strato dopo strato emersa
finché il mare alla fine non brillò lontano.
i calanchi estesi verso nord e i picchi calcarei
ci aveva pensato a diruparli
l’azione incisiva delle piogge
al punto che sul fondo di ogni avvallamento
era tutto un fiorire industrioso
di peschiere e di mulini. di là
scendevano acque dolci che in un calmo bacino
riunivano correnti chiare e concordi nel loro flusso
quieto, che libero scorreva per parchi e coltivi,
sbucando in un’ampia valle più meridionale,
come un gatto mentre fa le fusa. da una parte
e dall’altra sinuose campagne
si adeguavano a quella topografia discendente
e curvilinea, fertili, mature
fino ai prati e ai siti permanenti dei frutteti,
punteggiati di viti. Pasciuti armenti
rimuginavano all’ombra di solide querce,
greggi pascolavano nei meandri
di antiche cicatrici del terreno,
mentre signore dalle lunghe gambe,
attorniate da cani di piccole taglie,
si sdraiavano col loro amante
sulla proda crosciante
di un ruscello. Regione elegante:
il cielo compatto, nobile, aereo e i contrafforti vagabondi

erano ben proporzionati, mentre – con agio tranquillo –
orgogliose su quella pianura, Saint Peter Acorn,
Saint dill-in-the-deep, Saint dust, Saint Alb,
Saint Bee-le-Bone, Saint Botolph-the-less,
spiccate altezze gotiche in uno spazio greco,
signoreggiavano su ogni alberata parrocchia,
dove curati di campagna sistemati in fredde
camere da letto, tanto di decanati si sognavano
fin quando al crepuscolo i corvi del rettore
non senza un certo gusto
per loro s’industriavano a tracciare
i confini dell’esistere.


[da Wystan Hugh Auden]

 

 

CREATURA

Sono una creatura come le altre
uguale uguale
solitaria, malinconica, asociale
acrobata sul filo dello strappo
fra i più oscuri anfratti della carne
e l’aria da parlare e respirare
mentre dall’altra parte
mi aspetta il silenzio più abissale

A metà, voglio dire, del passaggio
che qualcuno chiama viaggio
là dove stanno parvenze diverse
di responsabilità o di dialogo
e più nessuna via d’uscita
da vicoletti ciechi, gatte morte, stanze
di vergogne inconfessabili a una madre

Senza mai riuscire a dirle
che anche per lei
sono qua fuori a vivere
e a morire

 

 

ADRIANA E LA BELLEZZA

Bella che sei
fra gli amari e i caffè
nei fondi fangosi delle parole
come scendono lievi gli amanti
quando volano sui cieli
chiusi delle utilitarie
o su questa terraferma che stasera
non sopporta il saltellio dei merli
pronti anche adesso a becchettare
le briciole sui tavoli d’estate

Così noi le tovaglie macchiate le grinze
fra i resti di scorza delle arance