Il garofano

da | Set 30, 2016

Con questa traduzione inedita di Jean-Charles Vegliante de’ Il garofano di Francis Ponge, riprende la rubrica di traduzioni d’autore di “Officina Poesia”. Tra le precedenti uscite, le traduzioni di Yves Bonnefoy a cura di Mario Benedetti e i rifacimenti di Quevedo e Dylan Thomas a cura di Gabriele Frasca.

***

Raccogliere la sfida delle cose al linguaggio. Per esempio questi garofani sfidano il linguaggio. Non avrò pace finché non avrò messo insieme più parole, alla cui lettura o ascolto si debba necessariamente gridare: è di qualcosa come un garofano che si tratta.
È poesia questa? Non lo so, e poco importa. Per me è un bisogno, un impegno, una rabbia, una questione d’amor proprio e basta.

Non mi pretendo poeta. Credo la mia visione assai comune.
Posta una cosa – ordinaria quanto possibile –, a me pare che essa presenti sempre alcune qualità davvero particolari sulle quali, se fossero espresse con chiarità e semplicità, ci sarebbe opinione unanime e costante: sono quelle che cerco di individuare.
Che importa individuarle? Far guadagnare all’ingegno umano quelle qualità di cui esso è capace e di cui solo la routine gli impedisce di appropriarsi.
Quali discipline sono necessarie al successo di tale impresa? Quelle dello spirito scientifico sicuramente, ma soprattutto molta arte. Ed è perché io penso che un giorno una ricerca simile potrà anche essere chiamata in modo legittimo poesia.

Si scorgerà attraverso gli esempi a venire quale massa di detriti ciò suppone (o implica), a quali attrezzi, a quali metodi, a quali rubriche si deve o si può ricorrere. Al vocabolario, all’enciclopedia, all’immaginazione, al sogno, al telescopio, al microscopio, alle due estremità del cannocchiale, alle lenti da presbite o da miope, al bisticcio, alla rima, alla contemplazione, all’oblio, alla loquacità, al silenzio, al sonno, ecc. ecc.
Si vedrà pure quali scogli si debba evitare, quali altri affrontare, quali navigazioni (quali bordate) e quali naufragi – quali cambiamenti di visuale.

È piuttosto probabile che io non possieda le qualità richieste per portare a buon fine una tale impresa – in alcun caso.
Altri verranno i quali useranno meglio di me i procedimenti che avrò indicato. Essi saranno gli eroi dello spirito a venire.

(Un altro giorno.)
Cosa c’è di particolare, alla fine, nell’ingenuo programma (valido per qualsiasi espressione autentica) solennemente qua sopra esposto?
Senza dubbio soltanto questo, il punto seguente: … dove io scelgo a soggetti non già sentimenti o vicende umane ma oggetti, i più indifferenti possibile… dove mi appare (istintivamente) che la garanzia della necessità d’espressione si trovi nel mutismo abituale dell’oggetto.
… Insieme garanzia della necessità d’espressione e garanzia di opposizione alla lingua, alle espressioni comuni.
Evidenza muta opponibile.

1.

 

Ostinato: fortemente attaccato alla propria opinione.
Cartocci, farfalle, papille: stessa parola di vacillare.
Squarciato: da una parola germanica skerr(i)an. Frastagliare.
Denti e dentellature.
Chiffons. Crema, cremoso.
Garofano: Linneo lo chiama mazzolino perfetto, mazzolin bell’e fatto.
Satin.
Festoni: «Quelle belle foreste che si stagliavano con un lungo mobile festone sulla linea di quei colli».
Sbattuto: crema sbattuta, che a forza d’essere frullata diventa tutta una schiuma.
Starnutire.
Giocola e Giocasta?
Jabot: appendice di mussolina o merletto.
Sgualcire: spiegazzare, far prendere pieghe irregolari. (L’origine è un rumore.)
Increspare (un tovagliolo): piegarlo in modo che formi delle piccole onde.
Stropicciare, nel senso di spiegazzare, si confonde con fespe, da fespa, che vale chiffon e anche frangia, sorta di felpato.
Frange: etimologia sconosciuta. 2° termine anatomico: pieghe sinoviali.
Frastagliare: tagliare a striscioline, facendo diverse intagliature. Frastagliarsi, farsi dei tagli.

2.

 

Da contrapporre ai fiori placidi, rotondi: ari, gigli, camelie, tuberose.
Non che esso sia pazzo, ma violento sì (sebbene bello e compresso, riunito entro limiti ragionevoli).

3.

In cima al gambo, fuori di un’oliva, d’una ghianda soffice di foglie, si sbottona il lusso meraviglioso della biancheria.
Garofani, questi meravigliosi chiffons.
Come sono puliti.

4.

A respirarli si prova il piacere di cui il rovescio sarà lo starnuto.
A vederli, quello che si prova nel vedere la mutandina, frastagliata coi denti, di una fanciulla che si prende cura della biancheria.

5.

Per «sbottonarsi», vedi bottone. Vedi anche cicatrice.
Bottone: visto, non si deve accostare capo e bottone, né sbottonare nella frase, poiché sono parole affini (da buttare, spingere).

6.

E naturalmente, tutto non è che movimento e passaggio; se no la vita, la morte sarebbero incomprensibili.
Seppure s’inventasse la pillola da sciogliersi nell’acqua del vaso per rendere il garofano eterno – nutrendone di succhi minerali le sue cellule –, ciò nonostante, esso non sopravvivrebbe a lungo come fiore, il fiore essendo solo un momento dell’individuo, il quale fa la sua parte come la specie glielo impone.
(Questi primi sei pezzi, la notte dal 12 al 13 giugno 1941, al cospetto dei garofani bianchi del giardino di Madame Dugourd).

7.

In cima al gambo si sbottona fuori di un’oliva soffice di foglie un meraviglioso jabot di freddo raso con vuoti d’ombra di viride neve dove stagna ancora un po’ di clorofilla, e il cui profumo provoca all’interno del naso un piacere sull’orlo dello starnuto.

8.

Cartoccio straccetto increspato
Strofinaccio di lusso freddo raso
Chiffon di lusso a pieni denti
Strofinaccio increspato di freddo raso
Fazzoletto di lusso a pieni denti
Stracci di lusso in freddo raso
Di lustro

9.

Jabot cartoccio o fazzoletto
Strofinaccio di lusso a pieni denti
Chiffon
Di freddo raso a pieni denti
Odoroso fuori di sé frullato
In cima al gambo verde bambù
A gonfiore d’unghia lucidata
Gonfia una ghianda soffice di foglie
Sacchetti multipli odorosi
Da cui guizza la veste frullata
13 giugno

10.

Faro da occhiello
Proiettore
Lampada portatile
Magondo

Jabot straccio cartoccio o fazzoletto
Cenci d’usato a pezzi

Sbuffi di biancheria o increspature
Di freddo raso

Ricco opulento assemblaggio
Competizione associazione
Manifesto riunione
Di petali d’un umido tessuto
Freddamente satinato

Folla che esce a delta dalla comunione
O mutandina a pieni denti di fanciulla che ha cura della propria biancheria

Spandendo profumi di una specie ad ogni istante
Che rischia che piacere di mettervi sull’orlo dello starnuto

Trombette colme satolle ostruite
Dalla ridondanza della loro propria espressione

Gole interamente ostruite da lingue

I loro padiglioni le loro labbra squarciate
Dalla violenza delle loro grida delle loro espressioni

Increspati sgualciti spiegazzati raggrinziti
Frangiati ritagliati frullati
Stropicciati arricciati incurvati
Arrotolati goffrati impomatati
Intagliati squarciati piegati frastagliati
Guarniti contorti ondulati dentellati

Cremoso spumeggiante bianco innevato

Omogeneo unito
Mazzolino perfetto, mazzo bell’e fatto

Fuori della ghianda soffice dell’oliva soffice e puntuta
Che fa socchiudersi che fende
In cima al gambo sottile verde bambù
Dai gonfiori spazieggiati lucidati
E languenti con maggiore semplicità possibile

Così come Luglio s’avvicina
Il garofano si sbottona

14 giugno

11.

All’estremità del gambo sottile verde bambù dai lucidi spazieggiati gonfiori da cui si sguainano due foglie simmetriche molto semplici piccole sciabole si gonfia di successo una ghianda un’oliva soffice e puntuta che forza a socchiudersi che fende a occhiello da cui si sbottona
un jabot di freddo raso meravigliosamente stropicciato un profuso ruché di linguine contorte e squarciate dalla violenza del loro proposito:
singolarmente un profumo tale che produce sulla narice umana un effetto di piacere quasi starnutatorio

15 giugno

12.

Il gambo
di questo magnifico eroe – esempio segue –,
è un sottile verde bambù
dagli energici gonfiori spazieggiati
lucidati come l’unghia

Sotto ciascuno di essi si sguainano questa è la parola
due molto semplici piccole sciabole simmetricamente inoffensive

All’estremità promessa al successo
gonfia una ghianda un’oliva soffice e puntuta

Che all’improvviso dando luogo a una modificazione
sconvolgente
la forza a socchiudersi, che la fende
e se ne sbottona?

Un meraviglioso chiffon di freddo raso
un jabot profuso di fredde fiammelle
di linguine dello stesso tessuto
contorte e squarciate
dalla violenza del loro proposito

Una trombetta satolla
dalla ridondanza delle sue proprie grida
al padiglione squarciato dalla loro stessa violenza

Mentre a confermare l’importanza del fenomeno
si spande continuo un profumo tale
che provoca nella narice umana
un effetto di piacere intenso
quasi starnutatorio.

13.

All’estremità di una stoppia energica
le trombette di biancheria
squarciate dalla violenza del loro proposito:
un profumo di essenza starnutatoria

*

L’erba dalle immobili rotule

*

Il bottone di una stoppia energica
si fende a occhiello

14.

O spaccato in OE
O! Bottone di una stoppia energica
spaccato a OcchiEllo!
L’erba, dalle immobili rotule
ELLA o giovanile vigore
L dai simmetrici apostrofi
O l’oliva soffice e puntuta
spiegatasi in OE, I, due L, O
Linguine squarciate
Dalla violenza del loro proposito
Raso umido raso crudo
ecc.

15.

Retorica risolta del garofano.

Fra i godimenti che comportano lezioni da ricavare dalla contemplazione del garofano ve ne sono di varie specie, e voglio, graduando il nostro piacere, iniziare dalle meno eclatanti, le più terra terra, le più basse, le più vicine al suolo e più solide forse, quelle che escono di mente nel momento medesimo in cui la piccola pianta esce di terra…

Codesta pianta d’acchito non differisce molto dalla gramigna. Si avvinghia al suolo che pare in quel punto insieme laminato e sensibile come una gengiva dove spuntano dei canini appuntiti. Se cerchiamo di strappare il breve ciuffo non ci riusciamo senza difficoltà, e ci accorgiamo che di sotto c’è una sorta di lunga radice che sottolinea orizzontalmente la superficie del suolo, una lunga volontà di resistere molto tenace, relativamente davvero considerevole. Si tratta di una specie di fune molto resistente, sconcertante per chi la estrae, costringendolo a cambiare la direzione del suo sforzo. È qualcosa che somiglia molto alla frase con la quale sto cercando “attualmente” di esprimerla, qualcosa che si srotola meno di quanto si estirpa, che tiene al suolo con mille radichette avventizie – ed è probabile che si spezzerà di netto (sotto il mio sforzo) prima che abbia potuto estirparne il principio. Pur conoscendo questo pericolo, lo rischio viziosamente, senza vergogna, a più riprese.

Basta sull’argomento, nevvero? Lasciamo stare la radice del nostro garofano.

– La lasceremo, certo; ma, tornati a uno stato d’animo più tranquillo, ci chiederemo tuttavia, prima di lasciare il nostro sguardo salire verso il gambo – sedendoci per esempio nell’erba non lontano da lì, e contemplandola senza toccarla più, le ragioni di quella forma che ha preso: perché una fune, e non un fittone o una semplice arborescenza sotterranea come le radici di solito?

Non dobbiamo cedere infatti alla tentazione di credere che sia solo per darci le seccature appena descritte da me che il garofano si comporta a questo modo.

Ma si può scorgere forse nel comportamento del vegetale una volontà di abbracciare, di allacciare la terra, di esserne la religione, i religiosi – e di conseguenza i padroni.

Ma torniamo alla forma di queste radici. Perché una fune piuttosto che un fittone o un’arborescenza come le radici di solito?

Possono esserci state, nella scelta di quello stile, due ragioni, l’una o l’altra valida secondo che si decida se si tratti di una radice aerea o di uno stelo rampicante all’inverso.

Forse, se si tratta di un arbusto atrofizzato, di un arbusto stanco e senza più forza e senza fede sufficiente ad elevarsi verticale al di sopra del suolo, forse una qualche millenaria esperienza gli avrà insegnato che gli conveniva riservare la parte alta al suo fiore.

O forse questa pianta deve condurre attraverso una vasta distesa di terreno la ricerca dei rari principi convenienti al nutrimento della particolare esigenza atta a giungere fino al fiore?

L’ampiezza stessa di questi paragrafi dedicati alla sola radice del nostro soggetto risponde a una preoccupazione analoga, probabilmente… ma ecco la misura raggiunta.

Usciamo di terra in questo punto preciso.

*

Dunque ecco trovato il tono giusto, in cui l’indifferenza è raggiunta.
Era l’importante, appunto. Tutto, a partire da lì, fluirà naturalmente… una prossima volta.
E potrei anche starmene zitto.

Roanne, 1941 – Paris, 1944

Immagine: Opera di Rebecca Louise.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).