Gli eroi sono gli eroi

da | Gen 12, 2016

Cinque poesie da Gli eroi sono gli eroi di Mariagiorgia Ulbar (Marcos y Marcos, 2015).

Camminavamo con i piedi pesanti
su pietre tagliate e smosse,
un pomeriggio in una città centrale
il fiume scorreva, chiudevamo i forni
non si toccava il nucleo quasi mai.
Alla stazione, quasi sera
catturarono una ragazza
urlava muovendo la testa
come Medusa
davanti alle luci, alle voci
ai dolori sopra il cuore
sopra te, che guardi lontano
e svisceri ogni guerra, sai le terre
di confine e vicino intanto, intorno
hai lasciato cadere il fiammifero
sulla macchia di petrolio.

*

Non più una donna ma mezz’uomo
è Trieste
e siamo scesi al porto per sederci
sulle sue gambe, seduti stretti
schiacciandogli il viso con le spalle
perchè è tempo
di fuoco incrociato all’orizzonte
e noi abbiamo confuso
uomini con panchine.

*

Catturai figure in giro, ombre e grate
di balconi, il pulviscolo alle tre post-meridiane
i bambini di Palermo guerci al sole.
Non rimane che una molle presunzione
si è fatta prendere la città
toccare sì, ma non portare a casa
niente archivi nè cassetti, tutto
subito, qui e ora, prendi, lascia.

*

Sarai anche tu un invitato
al funeral blues che non ti aspetti
per le volte, tutte, in cui hai scosso
la testa per non essere coinvolto.
Verranno a battere i gabbiani lunghi
le loro ali anche lontano
dai luoghi di mare che sappiamo,
sulle paludi batteranno, sulle foreste
su ogni città cadente che hai tracciato
con una mano sbagliata su una carta.
Tutti presenti, tu, io e chi ha visto
e non parlato. Un suono cadenzato,
una strada bianca, neri vestiti
un bruciare, chissà se di fuoco o di sole.
Il giorno successivo sarà questo
che della morte piccola sapremo.

*

I tornei ci saranno e quegli sbuffi
di maniche bianche che sfiorano le spade,
orde di ungheresi col mio nome,
il buio che mangia calde pecore
o uomini luccicanti di armature.
Ho stima di quelli che per poco
un tempo si sfidavano a duello,
la pistola veloce o il coltello
all’alba nei prati fuori porta
fuori città, in periferie ghiacciate.
Chiedo all’unica che risponde a stretto giro,
quell’eco che dà le parole che concedo
se tra grate di ferro e il cemento
i capannoni dismessi e gli steccati
c’è una piazza tonda, ancora un’arma
più morbida e sottile di una spada
e un testimone che sia disposto ancora
a guardare come peso la mia vita
con chicchi di riso per misura.

Immagine: Valentina De Matha, Entanglement.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).