Giampiero Neri, un maestro “fuori dall’ombra”

da | Apr 5, 2017

Se mai vi capitasse di andare in auto da Como a Erba, prendete la via provinciale, perché nelle ore di punta è molto meno intasata della statale, e, soprattutto, perché ora è un luogo letterario. «Sulla via provinciale, dopo la scalinata del Terragni, faceva mostra di sé il palazzetto moresco del Comune. / La sede dell’istituto magistrale Carlo Annoni era poco più avanti, quasi il prolungamento di una casa di abitazione del tutto anonima. / L’aula della quarta inferiore era a pian terreno». Così recita la poesia – prosa poetica, per la precisione, forma oggi prediletta dall’autore – che dà il titolo all’ultima raccolta di Giampiero Neri (Via provinciale, Garzanti, 2017). Un libro importante per la poesia italiana, perché segna il ritorno, dopo cinque anni, di uno dei suoi maestri. L’uscita di questo libro, alla fine dello scorso gennaio, ha aperto una lunga stagione di incontri e celebrazioni dell’opera di Neri, ora prossima al suo culmine, in occasione del novantesimo compleanno, che Neri festeggerà domani (venerdì 7 aprile) alle 21 nel Teatrino della Villa Reale di Monza. Sarà ospite della locale Casa della poesia, che ha in programma una lettura scenica tratta dal libro di Alessandro Rivali Giampiero Neri un maestro in ombra (Jaca Book, 2013), con l’attrice Laura Piazza e lo stesso Neri, per la regia di Sara Troiani. A seguire gli interventi di Mariastella Eisenberg, Luciano Ragozzino e di chi scrive. Questo novantesimo, che Neri festeggia in uno stato di grazia sia sotto il profilo fisico che creativo, sarà, gli auguriamo, l’occasione propizia per aggiungere un “fuori” a quell’“ombra” che lo insegue da trent’anni: fu Maurizio Cucchi, infatti, il primo a definire il poeta erbese «maestro in ombra» su “Panorama” nel 1987; Andrea Cortellessa, su “Alias” dell’8 maggio 2004, alzò la posta, parlando del «più in ombra dei nostri grandi maestri».

Oggi Neri dall’ombra è uscito non solo grazie all’attenzione in costante aumento nei confronti del suo lavoro poetico e delle sue vicende biografiche – le une e l’altro inscindibilmente legati come è giusto che sia – ma anche per la limpidezza che nei suoi testi è andata in un crescendo continuo, prova di una ricerca creativa ed esistenziale di cui Via provinciale costituisce un nuovo approdo. Naturalmente, la scelta del titolo va aldilà della fisicità della strada che l’ha ispirato. «Io tengo alla mia origine provinciale – sottolinea il poeta, che dagli anni Cinquanta vive a Milano -. Anzi, la considero un punto di forza, perché la vita in provincia è meno conformista. La città, e specialmente la metropoli, corrompono di più. In provincia ognuno mantiene una sua identità, che è riconosciuta dagli altri». Così sfilano nel libro, assieme alla serie dei luoghi, quella dei personaggi, su tutti l’amico Nene e il professor Fumagalli, divenuti, di racconta in raccolta, degli archetipi.
Assieme ai precedenti Paesaggi inospiti (2009) e Il professor Fumagalli e altre figure (2012), Via provinciale va a comporre un trittico in cui la ricerca attorno al senso della violenza nella natura e nella storia, tema centrale dell’opera neriana fin dall’esordio con “L’aspetto Occidentale del vestito” del 1976, raggiunge l’apice.

Se la Brianza, terra d’origine dove Neri è tornato a soggiornare nelle ultime estati, e gli anni della fine della Seconda guerra mondiale, sono il “palcoscenico” principale del suo teatro poetico, non mancano riferimenti agli autori più amati (da Gadda a Fenoglio), agli insetti (e altri animali) da cui molto possiamo continuare a imparare di noi stessi, e alla banca, dove ha lavorato per quaranta anni e che, lungi dall’averla vissuta come antitesi rispetto alle proprie aspirazioni letterarie, è diventata fonte di ispirazione di una prosa molto attuale in questi tempi di crisi, economica e antropologica, in cui il poeta/bancario vorrebbe negare un prestito a un uomo con poche “possibilità di rimborso”: «Stavo cercando una forma appunto, quando aveva preso la parola il fratello, che di mestiere faceva il pescivendolo. “Ma si fidi, signor Neri” aveva detto “si fidi. Se non si fida dei poveri, di chi vuole fidarsi?”. / Il prestito fu approvato e rimborsato nei tempi previsti». In banca Neri conobbe anche la moglie, ancora oggi sua prima lettrice. «La banca è considerata antipoetica per eccellenza – osserva il diretto interessato -, poiché è il dominio di soldi e numeri. Ma è un luogo comune, nato da una comodità di definizione, non per rispetto della verità. Kafka ha lavorato alle assicurazioni, che sono cugine delle banche, Eliot ha svolto come attività principale l’impiego in banca, e quando non ha più lavorato non ha scritto quasi più niente. Wallace Stevens era un assicuratore». «In banca – continua Neri – si impara a conoscere gli uomini. È a suo modo una guerra, perché se un truffatore avesse le stigmate del truffatore non trufferebbe nessuno, invece ha l’aria per bene».

Mirabile la capacità di trasformare luoghi provinciali in simboli universali. In questa raccolta lo skyline della poetica neriana acquisisce un nuovo monumento, il già citato Istituto Carlo Annoni che frequentò a Erba da ragazzo: «Del preside si sapeva che era andato a Nomadelfia, l’insegnante di latino si era sposata e il professore tanto amato insegnava a un gruppo di ragazzi mutilati. / L’istituto magistrale Carlo Annoni aveva finito la sua parabola, era tornato una casa d’abitazione. / Anni dopo, qualche vecchio ricordava gli avvenimenti di allora. / “Ci sarà il tempo” mi diceva il custode “per capire anche gli altri”». Da questa prosa la scuola dismessa emerge iconica, come erano stati in precedenti raccolte la casa paterna di via Mainoni e Villa Nena sul lago di Pusiano, affascinante bacino lacustre, a sua volta collegato con la natia Erba dalla via provinciale, meta un tempo delle passeggiate domenicali della famiglia Pontiggia. Neri, si sa, è uno pseudonimo scelto da Giampiero per distinguersi dal compianto fratello scrittore Giuseppe, ma è l’ultima volta che lo ricordiamo, perché, per l’appunto, il maestro è uscito dall’ombra e non c’è più bisogno di queste precisazioni. Piuttosto vale la pena ricordare che la forma della prosa poetica, scelta in via esclusiva nell’ultima silloge, fa parte del primo fondamentale innamoramento di Neri per la poesia di Dino Campana, e in particolare per uno dei testi dei Canti orfici, Arabesco Olimpia, scoperta grazie a una tesina del fratello. Sempre al “Peppo”, Giampiero deve il regalo eccezionale di una copia dell’edizione originale del capolavoro del poeta di Marradi, citato e omaggiato in “Via provinciale”: «Appariva così, nel mezzo della campagna antitedesca che ha preceduto la nostra entrata in guerra nel 1915, uno dei grandi libri di poesia del Novecento italiano, testimonianza e riscatto della povera vita del suo autore».

Per concludere cito due testi, collocati all’inizio e alla fine del nuovo volume, come una cornice, in cui è lui stesso a riflettere sul senso del tempo che passa e del “fermarlo” in poesia. Nel primo un «maestro zen, prossimo a morire, aveva invitato i discepoli nel suo giardino e rivolto a loro, sentendo gli uccelli cinguettare sui rami, aveva detto: “È tutto questo e nient’altro”». Nell’ultimo, al termine di un reading, è Neri medesimo ad avvertire «un senso di inutilità e insieme di inadeguatezza», che si risolve, come spesso nelle sue riflessioni, in un paradosso: «Si era invece presentato un poeta, mio implacabile detrattore. “Grazie”, mi aveva detto. / Io avevo ripetuto la mia perplessità su quegli incontri, ma lui ne lodava invece l’utilità». Per noi, suoi lettori, certamente ogni incontro con Neri è utile e spesso foriero di una qualche scoperta. Ma il dato più appassionante della sua poesia sta in quello che non si è ancora scoperto e, forse, non si disvelerà mai. Anche dopo aver letto due volte il nuovo libro, aver battuto palmo a palmo il “triangolo della memoria” che più lo ha ispirato – tra il monumento ai Caduti di Terragni (la cui essenzialità è un punto di riferimento anche stilistico per il poeta), via Mainoni e la vicina via Volta, dove la famiglia si trasferì nel ’34 e fu ucciso il padre nel ’43 – nonché aver parlato così tante volte con lui da scriverne una biografia (Giampiero Neri. Il poeta architettonico, Dialogolibri, 2005), arrivati all’ultima pagina si rimane con la sensazione che lo stesso Neri descrive nella prosa dedicata a uno dei suoi maestri, il russo Vasilij Grossman, dopo aver riletto il suo romanzo Vita e destino: «Si ha l’impressione di essere a un passo dalla comprensione di tutto. L’impressione è entusiasmante».

Immagine: Giuseppe Terragni, Casa del Fascio, Como.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).