Giampiero Neri, “Persone”

da | Set 22, 2015

Tre prose seguite da una recensione.

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Sulle orme di Fenoglio andavo ad Alba, nei suoi luoghi, all’Albergo Nazionale, in quel negozio di barbiere sotto i portici in centro, pensavo di chiedere qualcosa alla moglie, che aveva un negozio sulla “via maestra”.
«Più che leggere» mi aveva detto lei «lo vedevo scrivere», ma poi si era ricordata del Moby Dick di Melville, tradotto da Pavese, che Fenoglio le aveva portato. «Leggi» le aveva detto «è tradotto bene. Io però l’avrei tradotto meglio».

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Si resta perplessi davanti all’occhio protervo dell’aquila.
A cosa serve quello sguardo impressionante, quella ferocia [ostentata?
Non a impaurire la vittima, su cui piomba dall’alto per [afferrarla con gli artigli.
Allora perché?
Proprio all’opposto è lo sguardo del cane, che appare unico [nel mondo animale.
E’ infatti uno sguardo umano.
Inutile cercarlo in altre specie, dai serpenti agli uccelli, comprese le varietà delle scimmie, specie curiosa, se mai ce n’è stata un’altra uguale.

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…la Natura, il brutto poter che ascoso
a comun danno impera…

Giacomo Leopardi

Ci sono molti modi di guardare alla Natura e forse il più diffuso è quello di attribuirle il ruolo di Madre.
Madre Natura, si dice generalmente, come luogo comune.
Le ragioni non mancano, ma ce ne sono almeno altrettante [che lo negano.
Se il colore giallo e nero protegge la specie aggressiva nel suo aspetto mimetico, dall’altro segnala la pericolosità della sua presenza e mette in allarme.
Si ha dunque una doppia azione ma di segno opposto.
Il comportamento della Natura sembra piuttosto molto simile all’Apollo del maestro di Olimpia. Assiste imperturbabile alla battaglia e non parteggia né per i vincitori né per i vinti.

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La forma utilizzata da Giampiero Neri nell’ultima raccolta Il professor Fumagalli e altre figure, si estende come una propaggine nella plaquette Persone, edita per le Edizioni l’Arca Felice nella collana “Coincidenze” (2014): non sancisce un abbandono della poesia, anche se il verso scompare in favore della prosa, piuttosto un «arrivare al centro dei propri interessi» dove «quello che avevamo pensato» si riassorbe in un diverso modo di concepire il dettato poetico.

I brevi testi raccolti variano in racconti, riflessioni, osservazioni che assumono, alle volte, caratteri autobiografici («Sulle orme di Fenoglio andavo ad Alba … pensavo di chiedere qualcosa alla moglie, che aveva un negozio sulla via maestra»), o, si rivolgono, nella maggioranza dei casi, alla relazione tra l’uomo e la natura, più specificatamente con gli animali.

Così i disegni di Massimo Dagnino, vera e propria opera nell’opera, che attraverso il loro proprio linguaggio reinterpretano la materia scritta disponendola in un percorso vicino, e quasi intrecciato.

Il viso ritratto, più volte tra le pagine, si sdoppia nello sguardo dell’«occhio del volatile», invisibile, ma sempre presente in quanto sotteso al guardare stesso, verso una pluralità di «persone» di cui sembra fondare la presenza, e allo stesso tempo la propria.

Benché sembri essere fondata esplicitamente sulla ricerca di un contatto con il mondo, in realtà, l’opera, si configura come una guerriglia continua, «la seconda parte della vita (…) occupata a contraddire la prima»: l’insopprimibile soggettività dell’essere umano, che si manifesta nella tensione alla sistemazione, alla ricerca «della sospirata sintesi» che cerca «di interpretare, di dare un codice» a ciò che lo circonda, è bersaglio di una dura, seppur dissimulata, critica.

L’ironia, presenza abituale nei lavori dell’autore lombardo, ne permette la realizzazione: mediante la sua azione si smaschera, e si mina «con dei sorrisi» la «tigre»; nel tentativo di avvicinarsi, («L’avevo stuzzicata con la mano e sentito il duro delle sue membrane e delle sue zampe potenti»), l’uomo, va incontro al continuo  ritrarsi, e sparire « fra le macchine in sosta» dopo aver «spiccato un grande volo», del mondo.

Il sentimento di inquietudine, di interdizione che sopraggiunge alla fine di quasi tutte le prose, è la percezione di un sorriso, ironico appunto, che si alza alle nostre spalle: non quello di «Madre Natura», dice Neri, che piuttosto «assiste imperturbabile alla battaglia e non parteggia né per i vincitori né per i vinti», ma quello dell’uomo stesso che, spostandosi un poco a lato, tenta di riflettere, non solo «sulla sconfitta», ma anche dove, di solito, «invece, si festeggia».

Proprio per questo l’agire, fin qui condotto, raggiunge il suo estremo e finisce per esplodere.

«Si era pensato» che l’ironia potesse scardinare la volontà di dare un significato preciso a coloro a cui «“manca solo la parola”», ma, nel momento in cui avviene «l’incontro dei grandi felini» si avverte di aver «oltrepassato» qualcosa «che non è soltanto un confine naturale»: ridimensionando uno si è mistificato e ingrossato l’altro.

Quel processo, che tentava di restituire lo statuto di alterità assoluta agli animali, rilascia, invece, soltanto coordinate  per un «Ritratto di bordo», una continua falsificazione, addossando loro altrettanti elementi che mai gli sono appartenuti: «rimane ben poco del loro posto regale», «sembrano un giocattolo rotto, che è stato smontato e non è possibile ricostruire».

 

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).