Elogio per una cucina di provincia – Poeti francesi contemporanei /2

da | Mag 16, 2014

[Nove poesie nella traduzione di Chiara De Luca]

GOYA

Certo la notte può fissare il mare
negli specchi: le feste sono finite
solo il sangue ancora matura
nell’ombra che tornisce la terra
come questo chicco d’uva nera
scordato nella stanza dell’occhio
sprofondato
da un’aquila che strazia la tela
nella gola del tempo

*

GOYA

La nuit peut bien fermer la mer
dans les miroirs : les fêtes sont finies
le sang seul continue de mûrir
dans l’ombre qui arrondit la terre
comme ce grain de raisin noir
oublié dans la chambre de l’oeil
qu’un aigle déchirant la toile
enfonce
dans la gorge du temps

***

MARZO 1984

Primo saggio di primavera sulla neve
sporgi il viso spento, la carcassa che l’inverno
ha reso rugginosa e che all’interno stride,
gli occhi chiusi sotto la maschera vedono
passare l’ombra che mormora:
«Tra tre giorni, tre giorni soltanto!»
Non c’è nessuno quando li apri
eppure tutto è cambiato
l’albero in fondo al prato è un albero
verso cui lieve cammini: sei tu
che ne porti tutte le foglie.

***

IN TERRAZZA

La porta di nastri che bilancia la brezza
è la sola fontana che abbevera
con un poco d’ombra di biancheria
la cucina che dà sulla terrazza dove
da mezzogiorno cuoce il pane della luce.
(Anche il sole è divenuto statua)
Si sentono solo i colpetti di becco
degli ultimi uccelli invisibili
sopra la crosta croccante.

*

SUR LA TERRASSE

La porte de rubans que balance la brise
est la seule fontaine abreuvant
d’un peu d’ombre lingère
la cuisine qui ouvre sur la terrasse
où cuit depuis midi le pain de la lumière.
(Le soleil lui aussi s’est changé en statue)
On perçoit seulement les petits coups de bec
des derniers oiseaux invisibles
sur la croûte sonore.

***

Il giardino è entrato in cucina
con il cavallo ebbro e il ruscello lontano
perché la tavola era spalancata
alla pagina più bianca dell’estate
là dove convergono tutte le strade
che intesse la poesia
per il cieco immobile
con le mani posate sul legno
la punta del coltello piantata nella memoria.

*

Le jardin est entré dans la cuisine
avec le cheval ivre et le ruisseau lontain
parce que la table était ouverte
à la page la plus blanche de l’été
là où convergent toutes ces routes
que tisse le poème
pour l’aveugle immobile
mains posées sur le bois
la pointe du couteau fichée dans la mémoire.

***

DOMENICA

La campana della vecchia burriera nel sole d’ottobre
è una chiesa scordata sulla tavola degli uomini
Si raduna attorno le briciole splendenti
del cuore che ha vissuto la sua ora di gloria
nella comunione e nel placarsi delle grida
pepite che una mano seminerà sul prato azzurro
per gli uccelli gli insetti gli dei invisibili
che portano la luce nel cavo degli alberi immobili
e nello spazio aperto la notte accede ai nostri sogni.

*

DIMANCHE

La cloche du beurrier ancien dans le soleil d’octobre
est une église oubliée sur la table des hommes
Elle rassemble autour d’elle les miettes éclatantes
du coeur qui a vécu son heure de gloire
dans le partage et l’apaisement des cris
pépites qu’une main sèmera sur le gazon bleu
pour les oiseaux les insectes les dieux invisibles
qui portent la lumière au creux des arbres immobiles
et dans l’espace ouvert la nuit entre nos songes

***

COLLINE

A che pro fuggire l’estate venuta verso un mare
saldamente ancorato nel suo letto quando
restare immobile nel cavo del cammino pare
una tecnica di navigazione e già riunire
le dita sotto la fronte ti consacra capitano
che basta poco un soffio di vento più secco
che ti gonfia il cappotto e trovare come un tempo
la forza di soffiare abbassando le palpebre
per veder uscire dal porto il villaggio ai tuoi piedi
tutta questa gente senza storia sotto i panni svolazzanti
in piedi e salutando sul ponte beffardo
questo paese che ti tiene come uno sguardo d’amico.

*

COLLINES

À quoi bon fuir l’été venu vers une mer
bien à l’ancre dans son lit
quand rester immobile au creux du chemin semble
une manière de navigation et que déjà réunir
tes doigts sous le front te sacrent capitain
qu’il suffit de peu un coup de vent plus sec
gonflant ton paletot et de trouver comme autrefois
la force de siffler en baissant les paupières
pour voir sortir du port le village à tes pieds
tous ces gens sans histoire sous le linge qui vole
debout et saluant sur le pont dérisoire
ce pays qui te tient comme un regard d’ami

***

LE ORE

Come la neve tra i passi dell’ignoto
la casa respira tra le ore
battute sul quadrante notturno
respira, ascolta, aspira all’eco eterna
di voci taciute riemerse dai giardini
trema e respira, come la rugiada
sul vetro freddo, la vita che svapora
mentre chi dorme accanto al tetto
si misura ad ampi colpi d’ali ferme
il mare imprigionato tra le tempie.

*

LES HEURES

Comme la neige entre les pas de l’inconnu
la maison respire entre les heures
frappées sur le cadran nocturne
respire, écoute, aspire à l’éternel écho
des voix tues qui montent des jardins
tremble et respire, comme la buée
au carreau froid, la vie qui s’évapore
tandis que le dormeur près du toit
mesure à grands coups d’ailes immobiles
la mer assujettie entre ses tempes.

***

A dieci anni hai l’eternità sotto il caschetto
la morte è letteraria e nient’altro
dorme sotto la polvere delle biblioteche
un passato di sventure e grida di scherno
mentre voliamo al soccorso di una stella
che ci parla a bassa voce al centro del melo
(nulla sappiamo del suo volere ne basta
l’esistere a farci conquistatori).
Le mura crollano i granai mostrano la gola
e l’orizzonte si scosta con gli uccelli
è normale perché noi avanziamo – e sul cielo
il nostro passo precede le nuvole
che vanno a morire in fondo alle terre –
normale anche che un giorno
le mura sollevino il cielo per superarci
i granai colmi di sogni ci sfiatino
e l’orizzonte nella nostra schiena
chiuda le proprie porte pigolanti
sì, normale senz’altro che una stella
diversa ci prenda per mano e ci guidi
(tutto sappiamo del suo volere ne basta
l’esistere a renderci inermi)
e ci stenda nel proprio letto
dove col caschetto perdiamo
l’eternità che vortica fuori
dalle mura e raccoglie vento soltanto.

*

À dix ans on a l’éternité sous sa casquette
et la mort est littéraire ni plus ni moins
couchant sous la poussière des bibliothèques
un passé d’infortunes et de cris dérisoires
tandis qu’on vole au secours d’une étoile
qui nous parle à voix basse au milieu du pommier
(ce qu’elle veut nous n’en savons rien il suffit
qu’elle soit puisque nous sommes conquérants).
Les murs s’écroulent les greniers rendent gorge
et l’horizon s’écarte avec les oiseaux
c’est dans l’ordre puisque nous avançons
— et sur le ciel nos pas précèdent les nuages
qui vont mourir au fond des terres —
dans l’ordre aussi bien
qu’un jour les murs relèvent le ciel et nous dépassent
que les greniers pleins de rêves nous époumonent
et que l’horizon dans notre dos
referme ses portes pépiantes
oui, dans l’ordre assurément qu’une autre étoile
nous prenne par la main et nous emmène
(ce qu’elle veut nous le savons bien il suffit
qu’elle soit puisque nous sommes désarmés)
et nous couche dans son lit
où nous perdons avec notre casquette
l’éternité qui roule hors les murs
et n’amasse que le vent.

***

I vagabondi

Questo corpo spalancato prima dell’alba e che la notte
non chiude mai del tutto oh cucina d’infanzia
se lo consegni è passo dopo passo
a chi, nell’ombra come noi,
acconsente a morire lontano dai tuoi fuochi, sulle strade
in mare o più in alto delle nuvole, dopo aver superato
la barriera e spezzato le ultime immagini
che lo tenevano per i capelli.
Furono i tuoi ospiti a sorpresa, i tuoi operai
dell’ultima ora, questi amanti che la pioggia porta via
con la sabbia dei lampi
verso un mare più vasto e inutile, e tutti
ora che l’impalcatura del sogno è caduta
con la notte, e non resta che attendere
tutti, ricordano il tuo ventre, le tue ginocchia
i tuoi occhi fuggiti nella luce dolce d’inverno
il tuo calore di cagna
e il tuo giardino colmo di muschio dai profumi intrecciati
come i boccoli degli angeli nell’abetaia di mezzanotte.
Oh memoria, bella prigioniera del vento
che nessuno nella sua disfatta disfa
neppure se ha perduto il nome e la donna e la follia
memoria, nostro unico bagaglio in questo luogo senza [radici
(ma che altro opporre all’angoscia che ci serra
gli uni contro gli altri, eppure tutti estranei
e ben più solitari di un bosso crocifisso
nell’estate infernale dei granai, sì, quale altro filo
per non cedere nel labirinto
all’arida esistenza delle mummie?)
O cucina talmente aperta e così calda nel tuo dolore
da sempre, per tutto il tempo, da poter dire Andate pure
a vedere se mi trovate altrove, in un moto di stizza
sappiamo che sei là, che aspetti come la notte
l’esaltazione delle voci, delle grida e la tavolata dove,
come un cuore attaccato al mestolo che versa
la primavera nei piatti, sorridi
alle ombre dello specchio arrugginito e ti perdi
nei passi di allora nei ricordi bianchi o neri
nell’odore persistente dei lillà che blocca il corridoio
come una stanza chiusa per sempre dove sfilano
uno dopo l’altro gli amati defunti e gli altri
per esempio chi è fuggito in Abissinia ad abbracciare
una rosa viva – pena perduta – e chi
è impazzito per amore di un cavallo, tutti
attorno alla tavola tu li raduni
come i seni, la testa, le gambe, le due ali
della casa, senza scordare quale fu la parte di ciascuno:
l’acqua, il sale, la zuccheriera e i piatti
– e così trascorre il tempo, il fuoco è spento
le ombre hanno un viso inconsolabile di nuovo
Pazienza! Ricostruisci per i boschi che gemono
e per la conta muta della scala
pezzo per pezzo, questo puzzle rimasto così a lungo [sparpagliato:
la vita di una cucina in provincia.

*

Les vagabonds

Ce corps large ouvert avant l’aube et que la nuit
ne ferme jamais en entier ô cuisine d’enfance
si tu le livres c’est pas à pas
à ceux qui, dans l’ombre comme nous,
consentent à mourir loin de tes feux, sur les routes
en mer ou plus haut que les nuages, ayant franchi
la barrière et brisé les dernières images
qui les retenaient par les cheveux.
Ils furent tes hôtes improvisés, tes ouvriers
de la dernière heure, ces amants que la pluie emporte
avec le sable des lampes
vers une mer plus vaste et inutile, et tous
maintenant que l’échafaudage du rêve est tombé
avec la nuit, qu’il n’y a plus rien à faire qu’attendre
tous, ils se souviennent de ton ventre, de tes genoux
de tes yeux enfouis dans la douce lumière d’hiver
de ta chaleur de chienne
et de ton jardin plein de mousse aux parfums emmêlés
comme les boucles des anges dans la sapinière de minuit.
Ô mémoire, belle prisonnière du vent
que nul en sa déroute ne délie
même s’il a perdu son nom et sa femme et sa folie
mémoire, notre unique bagage en ce lieu sans racines
(mais quoi d’autre opposer à l’angoisse qui nous serre
les uns contre les autres, tous étrangers pourtant
et bien plus solitaires qu’un buis crucifié
dans l’infernal été des granges, oui, quel autre fil
pour ne pas céder dans le labyrinthe
à l’aride existence des momies?)
Ô cuisine tellement ouverte et si chaude en ta douleur
depuis toujours, par tous les temps, que tu peux dire Allez
voir ailleurs si j’y suis, dans un mouvement d’humeur
on sait que tu es là, que tu attends comme la nuit
l’exaltation des voix, des rires, et la tablée
où, comme un coeur bien accroché à la louche qui verse
le printemps dans les assiettes, tu souris
aux ombres du miroir rouillé et te perds
dans les pas d’autrefois les souvenirs blancs ou noirs
l’odeur entêtée du lilas enfermant le couloir
comme une chambre à jamais close où défilent
un par un les morts aimés et les autres
par exemple celui-là qui s’en fut en Abyssinie
étreindre une rose vive — peine perdue — et cet autre
pour l’amour d’un cheval, qui devint fou, tous
tu les rassembles autour de la table
comme les seins, la tête, les jambes, les deux ailes
de la maison, sans oublier ce qui fut la part de chacun :
l’eau, le sel, le sucrier et la vaisselle
— et le temps passe ainsi, le feu s’est éteint
les ombres ont repris leur face inconsolable
Patience ! tu reconstitues pour les bois qui geignent
et pour la comptine muette de l’escalier
pièce à pièce, ce puzzle si longuement brouillé :
la vie d’une cuisine en province.

(da Guy Goffette, Elogio per una cucina di provincia, Traduzione di Chiara De Luca, Prefazione di Fabiano Alborghetti, Ferrara, Kolibris, 2014)

Yves Bonnefoy, L’ora presente – Poeti francesi contemporanei /1

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).