E io che intanto parlo

da | Mag 21, 2016

E io che intanto parlo, da poco uscito per Marcos y Marcos, raccoglie le poesie di Anna Maria Carpi dal 1990 al 2015. Di seguito quattro poesie dalle ultime due sezioni dell’antologia.

da Quando avrò tempo

E’ da un suono remoto
dalla casa, dalla stanza in fondo,
o è un mio tremito interno
o è quel giovane alianto
che s’agita là fuori, all’imbocco del parco,
il selvatico che alligna dappertutto
senza riguardi.

Di dove viene che non la vedo,
questa speranza
io non so in che cosa,
questa gioia improvvisa
fuori del cuore,
quest’aliena che canta
la sua infinita ragione d’esistere?

*

Bianco si dice ban
in gaelico, la lingua dei miei avi,
gli irlandesi,
quieti e fedeli a Cristo sullo Shannon.
Si tramanda di uno, nono secolo –
un vecchio, un monaco:
è comoda la cella e i manoscritti abbondano
e per compagno ha un gatto, il bianco Pangur,
che sta seduto a una certa distanza,
lo sguardo fisso a un punto:
“Ban, cosa vedi? perchè fai le fusa?
Tu vedi Dio, è vero?
Io dovrò aspettare,
per fortuna ho da leggere”.

Solo di tanto in tanto alza la testa
sovrappensiero il vecchio
e si guarda le mani,
poi intinge la penna e va sul margine
del sacro testo:
ha trovato da aggiungervi qualcosa.
Se gli cade una macchia,
frega col dito per mandarla via,
ma poi alza le spalle:
“Diglielo, Ban,
anche la macchia viene da lui”.

***

da L’animato porto

In una nevicata dell’infanzia
quando non so, ma so che c’è la guerra,
siamo in campagna, prato sotto casa,
c’è mia madre che grida
dammi la mano non andare via
e al bastardino torna qui malvagio,
e lui che abbaia,
pazzo
beato
come siamo noi
perchè non c’è mio padre.
Noi figli incustoditi e sconfinati.

*

Ik gihorta dhat seggen, “io l’ho sentito dire”.
Così intonava, è notte, è Medioevo,
il longobardo il Canto d’Ildebrando,
la cetra in grembo.
Notte, bufera, tutti intorno al fuoco,
fuori è l’urlo terribile della “caccia selvaggia”,
così si chiama,
è il dio degli avi che conduce i morti
i caduti in battaglia non i vili,
il dio con l’occhio solo, manto e cappello azzurro
Odino, lo sciamano.

Non ci credono più però non sanno
se il nuovo, il cosiddetto Cristo bianco,
sia una promessa.
Parla di ultimi che saranno i primi
di beati pacifici che non muovono un dito.
E dove va il sapore della vita?
Questo è il punto, signori,
e no ai tutti uguali,
che il tuo sé si distingua.
Così bevono e pensano i guerrieri
e fluisce il racconto,
quel sentito dire,
la meraviglia, la bevanda madre
delle proprie radici.

Immagine: Marina Abramović, Portrait with Firewood, 2010.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).