E’ il respiro del drago Tarantasio…

da | Gen 16, 2015

Sette poesie.

Chieve

Sapevi a memoria nell’ordine esatto tutti i paesi
da Mozzanica a Valbondione
e ogni sera, prima di dormire
ripetevi il loro nome

era il tuo rosario laico, geografico

(piccole luci sparse nel buio
della pianura, sul fondovalle
o più in alto, a mezzacosta
e tra i dirupi)

se possiamo nominarli, dicevi,
allora possiamo amarli
ad uno ad uno, senza vertigine, senza paura
e senza il sangue che s’agghiaccia.

*

Trezzolasco

Fuori ci sono le stoppie
ricoperte di ghiaccio
e un orizzonte freddo
come una lama puntata alla gola

perciò restiamo qui, restiamo insieme
davanti agli epigrammi
incisi sulle pietre, ai fuochi
che qualcuno ha acceso
per fare luce ai morti

tra cent’anni un segnale
dai templi del cielo
ci farà attraversare la nebbia
che avvolge Trezzolasco

e se la voce del Serio scompare
soffocata dalla ghiaia,
l’angelo delle rogge
ci indicherà la strada

verso un altro fossato,
un’altra città castellata
costruita a difesa
di un confine invisibile.

*

Gromo

Dopo cena arrivavano notizie
da oltre il confine:
nuvolaglia riflessa nell’acqua delle marcite,
cognomi dimenticati di gente partita
e mai ritornata.

Noi restavamo asserragliati in cucina,
dalle finestre aperte entrava la musica
di un concerto in piazza.

Mio padre fumava
e mischiava le carte, mia madre
invecchiava

io ero sempre più lontano.

*

Chieve

È il respiro del drago Tarantasio
che fa tremare le persiane
nelle notti di febbraio

e sulle barche che solcano il lago
i nostri antenati longobardi
si alzano in piedi, tremanti sulle prue,
le spade e gli scramasax in mano

guardano la testa crestata del mostro
che emerge lentamente dalle acque,
i suoi occhi accesi nella nebbia
le fauci spalancate

e allora divampa
il fuoco sulle torri
dei castelli di pianura
e il pianto dei bambini risuona sulle coste
da Fara Gera d’Adda ad Acquanegra.

Mi consola ricordare
che è soltanto un’antica leggenda,
che quel mostro, se è esistito,
è stato ucciso
e un suo osso gigantesco
pende dal soffitto
della chiesa di Sombreno.

Di quel lago maledetto
che dà il nome alla tua via
è rimasta una piccola pozza
che non riesce ad asciugare
in un campo di frumento.

Ma tu, nel sonno, continui a tossire.

*

Almenno San Salvatore

Per vedere il ponte della regina
camminammo nell’erba alta,
le ombre della sera
calavano sul fiume

il sentiero ce l’aveva indicato
una donna incontrata per caso
che ci raccontò del castello,
della Pieve dove s’era sposata,
di quel suo matrimonio finito male.
La scambiammo per Teutberga
ripudiata da Lotario.

Infine il ponte lo trovammo
ma delle otto arcate
che lo sorreggevano al tempo di Traiano
nulla era rimasto

nell’agosto del 1493
una leggendaria piena del Brembo
che travolse quasi tutti i ponti della valle
distrusse cinque delle grandi arcate,
le altre resistettero
eroicamente
quasi fino all’Ottocento.

Oggi soltanto un pilone
si erge solitario ai confini del prato
e un altro poco lontano, nell’acqua,
nascosto dagli alberi
cresciuti sulla riva

ma sono entrambi irriconoscibili:
miseri monconi martoriati
da secoli di vento, tempeste,
malinconiche alluvioni.

*

Mozzanica

Ogni venerdì pomeriggio di vent’anni fa
mio padre guidava sul fondo del lago,
attraversava questi luoghi prosciugati

in ogni paese scendeva dall’auto
ed entrava nei bar
nelle farmacie, negli uffici postali
fermava persino i passanti in bicicletta

chiedeva a tutti del mostro,
voleva la certezza
che il drago fosse morto

un giorno incontrò quest’uomo
mezzo addormentato sotto il campanile
che adesso a ogni ora del giorno
con gli occhi semichiusi
osserva le auto che risalgono la strada

forse gli parlò anche di me
perché quando rallento per fare la curva
quest’uomo che mi aspetta da vent’anni
mi fissa, mi riconosce

un sussulto scuote
il suo torpore d’annegato.

*

Gazzaniga

“Un tempo qui era tutto un bosco,
erano selve spaventose e scure”

recita una voce smarrita di cantore,
di custode delle ombre
che a quest’ora s’affollano nei corridoi

“Nel buio si accendevano
bagliori di corazze, di spade
e il sangue sparso era sangue intorbidato
di Orobi, Cenomani, Romani e Longobardi
travolti nell’inganno
di un’inchiesta sempre vana.

Adesso attraversiamo gallerie, sottopassaggi, tunnel
il fiume con denti d’acciaio
scava ancora il suo letto,
non trova pace

i nostri figli scendono da corriere azzurre
s’accalcano davanti
alle porte ancora chiuse

non dicono nulla, sono senza fiato
ma con gli occhi cercano qualcuno,
cercano te”.

Immagine: Territorio di Bergamo di Pietro Redolfi 1718 ca. Particolare della zona collinare della città con rappresentato il Santuario; “La ‘Mad.a’ sopra l’abitato di Breno”. L’immagine è tratta dal blog Mille e una Bergamo

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).