Corrado Benigni, Là fuori

da | Feb 2, 2021

Sei poesie da Là fuori di Corrado Benigni, libro vincitore del Premio Ciampi Valigie Rosse 2020.

 

Qui da qualche parte in una pianura,
dove tutto compare ad altezza d’occhi
senza orizzonte, si sente il bisogno d’un punto
sopraelevato per guardarsi attorno.
Guidàti da ciò che ci chiama,
se osserviamo in distanza,
c’è una grande apertura nello spazio, là fuori,
il vuoto che scruta tutte le cose.

 

Dappertutto quest’aria d’attesa
che il tempo scorra e passi il giorno,
venga un’altra stagione
a dare forma a ciò che manca.
Gli unici paesaggi
sono andamenti di abitudini,
circostanze secondo le ore,
luci, colori e rumori che cambiano.

Anche l’intimità che portiamo con noi
fa parte del paesaggio,
il suo tono è lo spazio
che si apre là fuori ad ogni occhiata;
e anche i pensieri
sono fenomeni esterni in cui ci si imbatte,
come un taglio di luce su un muro,
o l’ombra delle nuvole.

 

Gli uccelli che scavano nell’aria la direzione giusta
e il movimento delle correnti nella profondità degli oceani.
Quest’appartenenza antropomorfa di tutte le cose,
dove ogni elemento è specchio di un altro.

Tutto è tempo che si scompone e scompare.
La mente nasconde a se stessa questa fuga,
ma nel rovescio dei passi è scritta
l’antica somiglianza tra attesa e cammino.

 

 

Aprire il paesaggio, dislocare lo sguardo.
Luigi Ghirri

Non esiste paesaggio se non attraverso le immagini
che diventano realtà solo se osservate.

Dall’ampia finestra, lo skyline dentellato è il profilo di un volto
e in cielo la nuvola sfilacciata un animale in fuga,
l’immobile resistere di tutte le cose contro il tempo.

È vero ciò che ci rappresenta e vive
oltre quello che vediamo.
Ma chi guarda?

 

Vedo il paesaggio che guarda me.
Osservo l’interno dall’interno,
sono dentro una cornice.
Figure d’ombre risalgono dal fondo,
cosa rende visibile ciò che non è?
L’occhio della mente si muove su piani orizzontali,
abita gli interni delle stanze,
poggia sugli oggetti presenti e ne perimetra le forme
per poi portare tutto all’unità,
dove ogni esplorazione si fa interna e circolare.
Tutto è già stato abitato, tutto è già mondo.
Guardo dal di fuori, e sono dentro.

 

Sappiamo quello che i nostri occhi vedono,
ma scriviamo per riprodurre un difetto della vista.

Dentro una prospettiva a ritroso,
dove ogni presenza è in fuga da se stessa,
alla cieca cerchiamo l’immagine definitiva
di ciò che siamo.

Theorein, dicevano gli antichi: contemplare, conoscere.

 

 

Immagine: Olivio Barbieri.