Comunismo

da | Apr 1, 2014

[Otto poesie inedite di Mario Santagostini dalla raccolta Felicità senza soggetto in uscita per “Lo specchio” Mondadori.]

L’EX-COMUNISTA

Sono tornato a Cinisello,
una domenica afosa.
Un motocarro scoperto portava via un cane.
Questa è stata zona operaia.
E io ero, come tanti, comunista.
E pensavo a un avvenire
senza il lavoro, a quando i corpi
ci sarebbero serviti a poco,
quasi a niente. Sono
arrivato a chiedermi di cosa è fatto
un corpo, se merita
soltanto la vita, o già altro.

*

(L’EX-COMUNISTA)

Ancora adesso, non mi è chiaro
quale disegno stava
dietro all’occupazione delle case
nei primi anni Settanta.
E a tutte le forme di autoriduzione,
o d’esproprio. Forse,
erano quei piani alti e dalle
pareti appena imbiancate, quelle merci ingloriose
e non pagate, a volere
il comunismo. Più e meglio di noi.
Ricordo le sere quando
la proprietà quasi non esisteva.

*

LE MERCI

Parlavamo di merci,
come sempre. E qualcuno si chiedeva
se il loro riciclo
non fosse l’ennesima,
rassegnata forma di resurrezione.
Non molto diversa dalla mia, aggiungeva.
E immaginava risposte.
Stupendo, il declino
del capitalismo passava fin dentro
a quelle merci.
E le rendeva più fatue, inutili.

*

ARIETTA

Ci si ritrovava al bar
all’aperto tra la Breda e via Metauro.
Chi giocava al pallone
contro il muro, o stanava serpi,
o andava per cicute
tra le rotaie dismesse e senza traversine.
Provato come tutti dalla noia
una specie di reduce
esibiva tutto il suo mancinismo
smodato, mi diceva -tu,
che farai almeno
un miracolo, prima di morire.

*

L’EX-COMUNISTA, ANCORA

Nel quartiere Bellaria,
abitavano generazioni di comunisti.
E tra i padri, uno aveva
conosciuto Lenin. La zona
sta tra case Gescal e le prime
brughiere, sui balconi battono i materassi
per far scappare i conigli
dai cortili, c’è aria che porta sabbia.
La politica ha lasciato
tutto. Anche le case
Gescal, il quartiere, Lenin.

*

(L’EX-COMUNISTA, ANCORA)

Il neofascista di cognome Furia
faceva il panettiere.
A volte, mi ha minacciato.
Nell’estate del ’73, per esempio.
Un giorno, chi legge queste righe gli infilerà
la testa in una latrina.
I miei versi sono come idioti
calcolatori: non sanno sbagliare.
E stasera qualcuno si sente
meno sicuro. A uno, due
isolati di distanza
fischiano una Marsigliese al veleno.

*

LE MERCI, ANCORA

Eppure, il solo vedere merci
ci metteva euforia
perché erano loro stesse, a essere felici.
A volte, anche nella forma
non esprimevano altro.
Nemmeno l’attesa vile del macero,
della palta-spettacolo che saremo noi e loro.
Ma tutto questo quando,
e dove è stato?
Se anche il capitalismo va via,
con i suoi segreti…

*

LA PRIMA PAUSA. MANZONI, E IL CAPITOLO SULLA PESTE MILANESE

Credo siamo ancora in tanti
ad aver avuto almeno
un morto in famiglia, nella peste
del 1630. O erano
apparitori, o chi gridava – viva la moria,
e trincava dal fiasco.
C’era un caldo infame, in quei giorni.
E vapori d’agosto nei cortili.
L’universo, e i suoi simili
hanno bisogno anche di questo.
E Manzoni è stato
un pazzo lucido, a raccontarlo.

Immagine: Renato Guttuso, I funerali di Togliatti, 1972.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).