Chaco

da | Lug 13, 2018

Sei poesie nella traduzione inedita di Francesco Tarquini.

Chaco

In un deserto bruciato d’alberi duri
e di terra riarsa, spaccata
dal calore, andammo una volta, era gennaio:
portavamo rosari, calzature di stoffa, penne e quaderni,
eravamo cinque uomini –uno prete-, tre donne,
dormivamo accanto a una scuola rurale
su un assurdo rimorchio di camion
abbandonato sotto il cielo scheggiato di stelle;
ogni notte, lontane a occidente, si mostravano nuvole e lampi,
ma in quelle tre settimane non cadde una goccia. Quando l’aria
tranquilla s’apriva alla prima luce, un po’ prima del sole,
ci alzavamo, sorbivamo
fra chiacchiere e scherzi il nostro tè,
caffè con pane, recitavamo preghiere. Poi a due a due
andavamo a visitare la gente
nelle loro case di terra fra galline
spennacchiate e cani, le loro case senza vetri; a visitare
quella gente chiusa, povera, conciata dall’arsura,
in fondo agli occhi un tremolìo di luce opaca:
Adelaida, don Flores, Cesárea e Antonino, Nery…
Dopo mezzogiorno rientravamo
e il pomeriggio venivano i ragazzi, più di trenta,
noi maschi giocavamo al calcio nella polvere
e qualcuno commentava la partita
come alla radio: “palla a Martín,
tira in porta… fuori! il pallone si perde in alto
e il derby, gente, continua due a due, pari”. Ridevamo.
Dopo, c’era la messa; e poi la notte.

Una volta a mezzogiorno io e Veronica fummo i primi a rientrare.
Andai in magazzino a prendere tonno, riso. E udii
e vidi sotto la vera del pozzo la bacinella verde:
qualcuno le aveva lasciato in fondo un po’ d’acqua, ed era piena
di api, tre centimetri d’api affogate,
tutte sommerse le prime e altre sopra ancora
ronzanti in cerchi nell’aria sovrastante
a centinaia, frenetiche, furiose,
posandosi ogni tanto sui corpi delle morte
per appropriarsi di un poco di quell’acqua.

Credo che mai vedrò una poesia bella più di un albero

Verso questa luce che avviva
la cieca sete d’incontro
che fa avida chioma, pronta vita
protesa ad incontrare
un graduale amore, alto, più alto,
alla cieca, verticale,
scala intrecciata con spina,
il desiderio, nell’insistenza
del suo amore, fa concreto
l’animo suo di ardere abbagliato.

Di ciò di cui il cuore abbonda
sia la bocca a parlare

In questo sale vivo rimaniamo che brucia
e non consuma; in questo lievito
che da ossa consunte estrae api, miele
che s’accresce; in questa linfa
che nel blocco del petto
un cuore di carne irrora
e gli occhi sveglia
con la sua limpida corrente,
risaliamola dunque
abbandonandoci
nel fermento della sua uva ogni
giorno. Di ciò di cui il cuore abbonda
sia la bocca a parlare.

Il fuoco qui trasforma la legna in altro fuoco

i. Come l’ostrica forma dentro di sé

Come l’ostrica forma dentro di sé precisa
la perla, questa canzone da un punto scaturita
che brucia, questa canzone tesa ed occultata
in tale ardore. Intimo lampeggiare e già il fulgore
la forma presto assume di infuocata crisalide
di madreperla, ferita pura, pura brace criptata,
spina e fiore. Disse il nome la sillaba, tua voce,
ti mise in corpo –e brucia e dà piacere- la quercia
intera in una ghianda sola. Sta nel tuo corpo
adesso, non sentir stupore che così dolce dolga
comporre la sua potenza esatta, l’alta nota.

ii. Come la pioggia viene giù dal cielo

Come la pioggia viene giù dal cielo e penetra
feconda e mai non cessa senza aver inzuppato
a fondo il suolo perché vi cresca il grano, la farina
spessa, il pane; così come la brace viva
nella cenere sta nascosta e dopo aver avuto
spazio alfin si attiva con fulgore crescente
e accende il fuoco; come la linfa dopo
la pausa dell’inverno per stretta conduttura
i sarmenti risveglia e l’intima sua
cura genera fiori, frutti… Così il verbo che esce a lui
di bocca rende nuove le cose se le tocca.

iii. Il fuoco qui trasforma la legna

Il fuoco qui trasforma la legna in altro fuoco.
Con premura veniva riscaldandola la fiamma
di fuori e l’incendiò quand’essa fu matura.
Sebben sia fuoco è acqua veritiera, una soave
sorgente che fluisce sicura. E questa sete –che uno sazia
quanto vuole nell’acqua- pur saziata perdura.
E’ fuoco che all’addentarti ti ripara, corrente
innamorata d’acqua chiara. Fuoco feroce
di soave fiamma: pira, sorgente che rinnova
quel che la mira. E’ fuoco, è acqua il vivo amore,
ed ora trema un dolce poter che m’innamora.

Immagine: Nadim Karam.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).