Controluce

da | Mar 25, 2013

rifugi segnati

Oggi che è troppo gonfio, senza contorni, il cielo
Volgiti verso di noi aquila sazia
Per il cibo che almeno ti lasciammo
Sul cippo di confine nel passaggio
Tra Veglia e Devero nel 76.

Era una cartina che illustrava l’anima
Quella della vallata alpina nei dettagli
Coi rifugi segnati e gli stambecchi stazionari
E poi giù di corsa fino al guado.
Una carta geografica illustrata
E lucida, che se una goccia di sudore la colpiva
Diventava opaca la selva dei pinetti
Con le tre croci in cima.

L’aquila intanto, mi spiegavi
Sta sul fianco soleggiato della nuvola,
Quello che da qui non puoi vedere.

*

Controluce

Scroscio lungo scroscio breve poi allargato,
Se scrivo versi per raccontare storie
Solo Bisuschio il verziere e le foglie
Di ortensia
I chiodi per stendere nel muro
E Jucci controluce in primavera.
La cascata non lo sa
Sta spingendomi nel sogno
Con la foto qui vicino
Che si accorge se spengo la luce.

E quando vedemmo come in una scena
Filmata il battistero e l’abside apparire
E poi rientrare
Tra le due file di alberi,
Tacesti.
Mai così vicini siamo stati noi
Al perfetto dire quello che vediamo.

Le navi gli edifici le industrie
Le vesti gli arredi domestici
Dell’impero asburgico,
Tu che saresti stata spia per Sissi…
Vuoi davvero salire in cerca di rare conchiglie?
Il fumo che si leva tiepido
Da quei campi al tramonto
E scivola sul tetto delle Alpi con la prima luna
Ti dice attenta, arriva il vetro
Della neve fresca
Portata dal vento!

Essere la donna di un crociato
O di un costruttore di cattedrali,
Seguirlo per mare vestita da soldato
O finto paggio,
Portargli gli ordini in cantiere.
Finché una indossatrice
Che tormentava il corpo
Mio attraverso il suo
Deforme, si spezzò.
Proprio in due parti,
Con la cintura appesa alla fontana
Senz’acqua.

*

In tangenziale

Ricordo che quando in tangenziale
Scorgevamo l’inceneritore,
Sfiorandomi dicevi: lì so che cercano
Personale accorto, conoscenza lingue…
Invece di stare sempre col pensiero
Alla Zamboni, verso la tavolata del ghiacciaio,
Vai lì a raccogliere i pensieri
E nei momenti di pausa traduci Robert Browning…

*

Rimasto senza l’inverno

Rimasto senza l’inverno
Il ghiacciaio si ritira,
Ma se un’offesa ha qualche senso
E’ quando la bocca che ti bacia la ripete.
Pensa che proprio oggi la Team Company s.r.l.
Azienda nel settore del recupero crediti
Cerca sul Corriere funzionari ambosessi
Per il potenziamento della propria
Rete esattiva. Possibilità di carriera.

Potremmo presentarci insieme
Motivati aggressivi…
Siamo una coppia che fa i turni di notte
Fuoruscita come una tartaruga dal ghiaino…

E quella fu l’ultima volta che alleati ridemmo.

*

NB: Controluce: il verso “Vuoi davvero salire in cerca di rare conchiglie” è suggerito dalla presenza, nel territorio del comune di Besano in provincia di Varese, di numerose conchiglie fossili rinvenibili nel fianco delle colline, a indicare l’antica sponda dell’Adriatico. In tangenziale: dal rifugio “Zamboni” nel gruppo del Monte Rosa si sale al ghiacciaio delle Locce.

 *

Nel 1969, quando la conobbi, Jucci aveva ventotto anni, era laureata in tedesco, insegnava e faceva ricerca, in particolare si occupava di etnologia e antropologia.

Di sette anni più giovane, io mi trovavo nella fase dell’ebrezza per l’acquisito affrancamento dalla mia cattolicissima famiglia.

Il nostro legame durò fino al 1980, quando Jucci morì di cancro, dopo alcuni mesi infami costellati di interventi chirurgici.

Per dieci anni condividemmo libri e avventure, vacanze e scoperte: con lei studiai le lingue e le letterature, con lei divenni poeta e traduttore. Con lei scoprii il mio territorio – quello che fa da sfondo al Profilo del Rosa – dalle Alpi al lago Maggiore.

Sul nostro amore l’ombra costante, assoluta, della mia omosessualità, che in quegli anni si concretizzava in numerosi, fugaci e solo fisici rapporti. Si era ancora nella fase della ricerca della “cause”, ci si chiedeva come si diventi omosessuali…

Ci sono quindi come due scalini, alti e scoscesi verso il disastro in questo libro. Il primo che consegue all’innamoramento – reciproco – nella quotidiana tenuta di un rapporto messo costantemente alla prova dai miei “tradimenti”. Che tuttavia consolidavano, pur nella sofferenza, il legame affettivo, perché dall’esterno nulla mi giungeva di minimamente somigliante all’amore. (Né mai sarebbe potuto giungere – capisco bene oggi – dato l’alto tasso di omofobia che avevo interiorizzato negli anni della mia crescita).

Il secondo terribile scalino consegue alla diagnosi della malattia di Jucci e segna l’ultimo anno della sua vita, rafforzando il nostro amore.

Ma non sarebbe nel carattere di Jucci, né tanto meno è nel mio, l’intento di trasmettere una storia sentimentale o persino struggente. Questa è la storia di due persone che, pur amandosi, si sono dilaniate.

Joyce, nel finale del Portrait of the Artist as a Young Man, si propone di ricorrere alle armi del silenzio, dell’esilio e dell’astuzia per sfuggire alla famiglia, al cattolicesimo e all’Irlanda. Nella mia prima fase di scrittura poetica – corrispondente al decennio del legame con Jucci – l’attenuazione, la reticenza e l’ironia erano le armi a cui ricorrevo per rendere pronunciabili l’indignazione, lo sgomento e la pietà. Erano ancora lontani i racconti di Suora carmelitana e le ricognizioni del Profilo del Rosa; e di là da venire gli anni di Guerra. Oggi – scrivendo Jucci – mi trovo a rivivere giorno per giorno quel decennio, ma nella prospettiva esplicita dell’indignazione, dello sgomento e della pietà.

Alcuni testi poetici apparsi in precedenti raccolte sono dedicati a Jucci: in  I Tre desideri (1984) una poesia porta il suo nome già nel titolo. Qui ho inserito in corsivo tre testi (“Giochi di bimbi sciocchi”, la cui composizione risale agli anni Settanta; “Dove il fiume fa l’ansa” e “Solo ora” che invece risalgono ai mesi successivi alla sua morte). Ma al corsivo in questo libro sono ricorso soprattutto per dare “voce” a Jucci.

                                                                                                f. b.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).