Anna Maria Carpi, E non si sa a chi chiedere

da | Lug 7, 2020

Cinque poesie di Anna Maria Carpi da E non si sa a chi chiedere (Marcos y Marcos, 2020).

 

3

ANNI CON NOI. Come li abbiamo amati.
Tutto comincia con un libertino,
un cane, era Cirino,
c’era la guerra, i miei erano in campagna,
lui la sera scappava e ritornava all’alba
infangato ferito a coda bassa:
un tempo eroico e non solo per lui.

Poi eravamo
nella casa di sempre.
Allora c’era Muli,
un maschio bianco e grigio,
la sua impresa: sulla scrivania
pisciare sulle carte di mio padre.
Aveva un avversario giù in cortile,
tale Miro, un malvagio:
ne fu sconfitto e non tornò mai più.

Dopo di lui la panterina nera,
Dede piena di mali
e l’ora di dolore senza eguali
di quando ci toccò farla morire.
Lacrimando
io me la tenni in grembo fino all’ultimo.
Era freddo e stavano chiudendo,
e di aver lasciato
quella piccola salma là nel buio
non posso perdonarmi finché vivo.

Poi arrivò Luigi. Era nell’81.
Al possente soriano
facemmo far dei figli,
tre bei maschi tigrati
e una tutta grigia e una biondina.
Da sopra il cesto il padre che li guarda
in gran stupore: e chi sono questi?
A me restò Baffina.
Ora ho imparato a seppellire i morti:
sul prato, sotto l’albero di Giuda
dai fiori rossi, curvo sulla terra:
là sotto lei riposa.

Un’altra amica ci passò poi Cino
il pacifico il dolce il senza pari:
da quattro anni dorme accanto a lei.
Ma gli avevamo preso una compagna,
l’avevo raccolta io in un giardino:
aspettando il suo cibo la piccina
sulla soglia, in cucina, faceva un buffo mucchio
di bianco nero e ocra –
solo le femmine sono tricolori –
e la chiamammo Mucchi,
e lei c’è ancora e ci sarà per sempre.

 

4

Mi è dato un corpo, che ne farò io
di questo dono così unico e mio?
(O. Mandel’štam)

UNICO,
ma è la cosa più astratta che ci sia,
l’ultima in cui io posso credere.
Qualche volta ho amato un altro corpo
un’estasi, l’ho avuto ed era mio,
due che si fanno uno,
ma nulla è più irreale della carne.
Non è la mente, sono i corpi a dire
come si è soli.

 

11

IL MARE
qui sotto casa: ascolta,
ha come mani e dita,
sembra scartino e incartino – che cosa?
un messaggio, un regalo?
Di tanto in tanto un tonfo ed un singulto
e sullo scoglio l’onda
schiuma e si spande, poi ritorna indietro.
Che ci voleva dire?
Che è per lei la sponda?
Il senso è al largo, e intanto cala il buio,
e verso terra in fretta con un ultimo
volo prima di notte
anche i gabbiani cercano un rifugio.

 

22

I RIFUGIATI,
affamati, gelati, senza dove,
inetta Europa
che non sa che fare.
Nulla farà, gli accordi le cadono di mano.

E rifugiati siamo anche noi,
a tavola in cucina che ceniamo,
c’è vino e carne, il dolce, anche la frutta,
aranci kiwi noci, poi il whiskino,
caloriferi accesi, sul divano mano nella mano
davanti alla TV, undici e mezzo
in diretta le ultime notizie,
e in queste ore forse un nuovo orrore.

 

26

DUE I NOSTRI COMPAGNI.
Uno è il passato –
mezzo bastardo dell’immaginario –
e ognuno ha il suo
o un muto tremebondo un coda bassa
o un inquieto che latra, un lupo, un labrador.
Digli di no, è questo che ti salva.

Poi verrà l’altro, il nuovo,
anche lui un fedele. Però non scelto, però insospettato,
un disguido da poco sulle prime
giù nella dépendance, nel caro corpo.
E a questo dire no non basterà.