Andrea Inglese legge “La grande anitra” – I poeti leggono se stessi /9

da | Giu 30, 2015

“La grande anitra” è un mio libro uscito nel 2013 per le edizioni Oèdipus di Salerno. Ne propongo un autocommento in qualche breve paragrafo. E alla fine cercherò di esporre i motivi che mi hanno spinto a pubblicarlo, dal momento che, in genere, non si percepisce nel mondo una grande necessità di nuovi libri di poesia.

“La grande anitra” è un libro nato da tre soli versi, quelli iniziali: “Siamo dentro un’anatra cotta / come Giona nel ventre della balena ma è un’anitra cotta / io Minnie e il guardiano notturno /”; intorni a questi due dati, un luogo e dei personaggi, che si sono imposti, ho costruito e articolato uno spazio, dei versi, delle frasi, degli incontri, delle apparizioni, un tentativo di storia.

“La grande anitra” è un libro, non è una raccolta. Da tempo mi voglio liberare, e mi sono liberato, dell’idea di raccolta. Mi rende insoddisfatto il moto discontinuo, tipicamente lirico, della scrittura poetica, tutta protesa alla circostanza eccezionale, alla pulsazione semantica privilegiata. D’altra parte, diffido della scrittura seriale, quando è una certa “cifra stilistica” che crea continuità nel succedersi dei testi. Diffido anche dei procedimenti, a meno che non siano motivati da necessità particolari nei confront di un soggetto particolare.

Vi è qualcosa nell’attitudine più tipica dei poeti lirici, che è importante salvaguardare: il peso delle ossessioni personali. Vi è, effettivamente, un apparato ricevente in buona parte inconscio, che entra nella scrittura poetica. I soggetti (i temi) si impongono a noi, non li decidiamo. A noi, poi, di costruire lucidamente i nostri strumenti per esprorarli. Qui entrano massicciamente i procedimenti, che sono cose più affidabili e certe della pretesa cifra stilistica che un autore dovrebbe, unico nell’universo, incarnare. Tutte le più insensate e capricciose e chiaroveggenti esperienze di ricerca otto-novecentesche, avanguardistiche o no, sono lì per aiutarci nel compito. Ogni soggetto ci impone il suo stile, ossia ci impone di sondarlo con strumenti ogni volta diversi.

Il maggiore disincanto per chi scrive versi, nel XXI secolo, è costituito, per chi ne fa l’esperienza, dall’eclissi di quella magnifica, galvanizzante, stretta relazione che la lirica moderna ha istituito tra il poeta-autore, in quanto individuo storico, e le sue poesie-enunciati. Sono ancora depositario di una macchina in parte inconscia di ossessioni, ma non sono più depositario di una macchina di senso. “La grande anitra” è un percorso per dare corpo a un’ossessione, che io credo, spero, non sia solo mia, e questo corpo linguistico e grafico è stato costruito anche con materiali che sono del tutto estranei alla mia personale esperienza.

Di cosa parla “La grande anitra”? Parla della difficoltà di immaginare un mondo alternativo a quello esistente. Non solo. Parla dell’ambivalenza di ogni pratica artistica e poetica che, in parte, è sempre legata al nucleo idiota, oscuro, inadommesticabile, della psiche individuale. Tale nucleo ha valenza sia regressiva che rivoluzionaria. Resiste alla socializzazione, e in questo può custodire risorse di cambiamento radicale o di barbarie radicale. “La grande anitra” parla di due prigioni: quella dell’universo storico e reale, e quella dell’universo immaginario e utopico. Parla della poesia come luogo ambiguo e instabile, oscillante tra prigionia e fuga, tra autoipnosi e risveglio. Ma il libro non parla solo, anche mostra. E mostra le povere cose, vive o morte, del mondo.

Ho deciso di pubblicare “La grande anitra” perchè, come ho detto, spero parli di un soggetto che riguardi molte persone, e spero di averlo trattato, non so se in modo buono o cattivo, ma in modo diverso, con strumenti e strategie che non mi sembrano comuni nell’attuale poesia italiana contemporanea.

Andrea Inglese

Una selezione di testi da “La grande anitra” già apparsi su “Nuovi Argomenti” qui

La rubrica “I poeti leggono se stessi” ha già ospitato:
Mario Benedetti, Milo De Angelis, Franco Buffoni, Umberto Fiori, Patrizia Valduga, Valerio Magrelli, Fabio Pusterla, Gian Mario Villalta.

Immagine: Florentijin Hofman, Rubber Duck.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).