A una poesia non ancora nata

da | Mar 26, 2018

A una poesia non ancora nata è la raccolta di Arundhathi Subramaniam, traduzione e cura di Andrea Sirotti, uscita da poeco per Interno Poesia. Pubblichiamo una selezione di quattro testi.

Come alcuni indù trovano i loro dèi personali

per AS che si interroga sugli ishta devtas

Si tratta di imparare a fidarsi
dello strattone
che ti trascina in un’alcova ombrosa
indisturbata
da suoni di passi
o da lumini tibetani,

una freddezza blu scura in cui lo trovi
che attende paziente,
quella perfetta divinità minore –

schiva, friabile,
appena sfornata, solo un po’
beffarda, contenta di avere una particina
nella vita di chiunque non sia tu.

Un dio che sembra
in grado di comprendere
errori di traduzione,
tempeste di neve sullo schermo,
vuoti di memoria,
distrazione,

che potrebbe anche imparare a memoria
il furore,
l’affanno, il Pali,
il pidgin,
il tritatutto digrignante,
il goffo tartagliare da Remington del tuo cuore,
che potrebbe farlo suo.

Dopodiché nessun altro farà al caso tuo.

Inverno, Delhi, 1997

I miei nonni a gennaio
su un dondolo da giardino
parlano di vecchi amici di Rangoon,
della seduta del parlamento, dei crisantemi,
di una bolletta della luce.

Nell’ombra sento per caso,
ottava nipote, periferica, mezza dimenticata,
avvolta distrattamente
nel grande scialle invernale del loro affetto.

I nostri dissensi sono cerimoniosi.
Borbotto con deferenza
quando lui parla di nazione indù,
agita la mano sprezzante quando minaccio
una relazione con una star pakistana del cricket.

Ma c’è di più che ci unisce
dei discorsi insaporiti dell’asprezza del caglio rancido
che mi lega a lei in modo fugace,
e del profilo sbiadito del naso
che mi lega a lui,
e c’è di più che ci unisce
della loro figlia che mi ha dato la vita.

Non chiedo altro.
Insostituibile, appartengo a questo luogo
come non vi apparterrò mai di nuovo,
le mie credenziali mai in questione,
la mia nicchia in un nodoso albero genealogico
non è negoziabile.

E sia io che loro sappiamo
che non avranno mai bisogno di me
quanto io di loro.

La diseguaglianza consola.

Pretesa

E in giorni come questo
non c’è nulla di meglio.

Nulla se non quel bisbiglio
del respiro contro l’orecchio

Un respiro caldo
come il sospiro degli alberi di borasso
nelle piantagioni di Tirunelveli

Un respiro
fresco
come biancheria, inamidata,
pregna d’incenso,
in un armadio di famiglia

Un respiro
cui affidarsi,

con un filo forse
di qualcosa che
le tue progenitrici mai sapevano
o fingevano di non sapere –
la nebbia speziata
di narghilè nelle notti d’inverno
a Isfahan, o il fresco scroscio
di pioggia Himalaiana o vino
barocco col sole
dell’Andalusia

Un respiro
di estraneo,
antenato,
amico,

che lascia nulla di più che questa
firma d’aria
sulla pelle,
ricordandoti
che non c’è nulla di rispettabile
nella biancheria di famiglia
quando le porte dell’armadio si chiudono,

ricordandoti
che questo incensurato deserto di bramosia
è un semplice –
o non così semplice –

corpo.

Mezzadria

Porto il sari di mia madre,
il suo gruppo sanguigno,
il suo ginocchio artritico.

Abbiamo votato
per uomini diversi, stessi governi.

Nei sogni lei gioca
tra alberi di gomma e palme di betel
fuori da una casa in Myanmar
mentre io corro giù
da buie scale di servizio
tra gli edifici di Bombay, aspri
dell’odore di urina
e di kesar agarbatti
che fuma dal taschino
del matto del settimo piano.

Lei si struggeva per Dev Anand,
io per Imran Khan.
Alla televisione
sfoggiano entrambi ancora
una zazzera di capelli neri.

Lei si destreggia agile
fra le lingue.
Io vocalizzo di tanto in tanto
inerzie ammuffite.

Io mi sciolgo
per il pop
o per un complimento.
Mia madre è fatta
di una stoffa più rigida.

Coltivando lo stesso sogno
con personalità diverse –
la logica ostinata
che entrambe conosciamo dietro eoni
di genitorialità.

Parliamo di buddismo,
di Lata Mangeshkar, complottiamo pedicure,
fino a tarda notte,

e lei mi guarda
vecchia contadina
scaltra mietitrice,
gli occhi lucidi
di sconfitta
mentre io furtivamente divento
il suo corpo.

Eccolo allora il
tradimento della
mezza età,
dell’amore.

Non ci si può avvicinare di più, mamma.

Immagine: Nagesh Goud.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).