Il trisillabo dolore

da | Nov 27, 2021

Ti si diede nella mano:
un tu, senza morte,
con cui tutto l’io tornò a sé. Correvano
voci prive di parola, forme vuote, tutto
finiva in esse, mischiato
e scomposto
e di nuovo
mischiato.

E numeri erano
tessuti con l’innumere. Uno e mille e ciò
che davanti e dietro
era maggiore di se stesso, minore,
maturato e
ri- e tras-
formato in
germinante mai.

Il dimenticato agguantò
il dimenticando, continenti, cuori a pezzi
galleggiavano,
affondavano e galleggiavano. Colombo,
il colchico
nell’occhio, il
ranuncolo,
sterminò alberi e vele. Tutti salparono,

liberi,
avidi di scoperte,
smise di fiorire la rosa dei venti, perse
le foglie, un oceano
fiorì a iosa e a giorno, nella luce nera
dei selvaggi colpi di timone. In bare,
urne, canopi
si destarono i piccoli
Diaspro, Agata, Ametista – popoli,
tribù e casati, un cieco

E  s i a

si annodò nelle gomene sciolte a testa di
serpente –: un
nodo (e contro-, retro-, anti- e bi- e mille-
nodi) presso cui,
occhi da carnevale, la nidiata
delle stelle-martora nell’abisso
sil-, sil-, sil-
labava, labava.

(traduzione di Dario Borso, da “Ci sarà forse da lottare”, 2020)