MONTAUK, ieri. Un libro di Max Frisch

da | Giu 25, 2015 | Senza categoria

«Un’insegna che promette il panorama dell’isola: OVERLOOK. Ha proposto lui questa fermata. Un parcheggio per almeno cento macchine, ora vuoto; la loro macchina è l’unica nel reticolo tracciato sull’asfalto.»

Le mete turistiche fuori stagione hanno una malinconia che scambi per romanticismo, gli hotel deserti, la colazione con tutti i tavoli immacolati tranne il tuo, una costruzione fatta per le folle e i colori chiassosi. Per questo le coppie di amanti clandestini vanno nelle pensioni sul mare: perché al desiderio si sommi la nostalgia, qualcosa che è già fuori tempo massimo. Prova a immaginare il futuro con qualcuno dal balcone di un posto per le vacanze.

«L’Atlantico non può essere lontano. Sopra, molto in alto, un gabbiamo isolato. Camminando si riempie la pipa e si meraviglia, senza voler sapere di che cosa si meraviglia. […] Dopo, per accendersi la pipa, deve fermarsi un attimo, c’è vento, occorrono cinque fiammiferi, e intanto lei è andata avanti, così che per vari minuti non la vede più; per vari minuti gli appare come una fantasia o come un lontano ricordo.»

I tradimenti sono solitari, sono persino più intimi delle relazioni – nessun altro con cui condividere quello che accade, i segreti. Più vividi della realtà, come i sogni che non raccontiamo perché rimangano con noi.

La cartina geografica che avete comprato è rimasta in macchina, vi orientate col sole, ma dove? Ci sono i boschi, non è la Grecia, la vegetazione è diversa. Pensi a quel viaggio, pensi alla Bretagna, pensi alle altre donne che hai avuto, lei non ha nome, ancora. (La stessa aria costiera dello scorso anno, forse indossi anche le stesse scarpe, la stessa camicia, solo tu sei invecchiato di un anno)

Un cartello dice: MONTAUK.

Un nome indiano, designa la punta settentrionale di Long Island, distante centodieci miglia da Manhattan.

(è l’undici maggio del 1974, non ci sono rami che pendono sopra il sentiero, lei salta, è una donna snella, ha i capelli sciolti, non bada al sentiero, la sua camicetta chiara al sole, i suoi capelli. Fa passi da acrobata, li farebbe anche se fosse sola. Tu la segui).

MAY I INTRODUCE YOU LYNN?

Ti intervista, Lynn, ti chiede se sei sposato o no, dove vivi, cosa scriverai. Le rispondi quello che dici al pubblico americano: Vivere è noioso, ormai faccio delle esperienze solo quando scrivo. (Adesso? Con lei? Questo è accaduto davvero?)

Più avanti annoterai: non ho vissuto con te come materiale letterario, ti proibisco di scrivere di me.

NEW YORK: cosa hai da fare qui? «Il carcere femminile all’angolo, un alto blocco di mattoni bruni, è stato demolito; adesso uno spiazzo sabbioso recintato di rete metallica, dei piccioni tubano nel recinto». Non è cambiato molto in due anni: gli alberi sulla Nona sono ancora sottili e smunti, ma verdi (l’audacia della clorofilla, la chiami). Ti somigliano? Il personale del drugstore non è cambiato, in hotel riconoscono il vecchio cliente, ti danno un’altra stanza, con lo stesso arredamento. («Il basso parapetto di queste finestre, bisogna stare attenti, quando si guarda giù dal crocevia; soltanto in sogno si riesce a volare con le proprie forze»)

HUDSON: vapore, catene con barbe di alghe, un elicottero. I tuoi ricordi stanno tra le pigre annotazioni di un uomo che ha scritto troppo per doversi impegnare ancora a estrarre della poesia da tutto questo e al resoconto di un sogno, una fantasticheria: un vecchio bar, un biliardo, un giovane nero in bicicletta, una lattina di birra che comincia a rotolare nel vento. Al MUSEUM OF MODERN ART marini l’arte per sederti nel cortile alberato per una mattina intera, ci vieni dal 1951, non ti interessano neanche le statue.

FIFTH AVENUE, WASHINGTON SQUARE, una studentessa di Yale ti mette in difficoltà sul tuo lavoro: «ma Stiller vuole veramente che Julika sia liberata, o in primo luogo gli importa di essere il suo liberatore?» Moquette, scacchi ai tavolini di pietra, cinguettii. Poi, improvvisamente VIA MARGUTTA, ROMA, torna nei tuoi pensieri. «Un effetto dell’aria calda, della luce: improvvisamente sono a Roma». Poi ZURIGO: «Nessuno mi trattiene, io corro, sulla riva trovo una lunga pertica di salvataggio che in casi di emergenza si può usare come remo. […] Non riesco a ricordarmi su che cosa sto; una specie di zattera, un’asse?»

Come ci sei arrivato? Hai letto in ascensore che Konrad Farner è morto a Zurigo, da qui. Ogni pensiero un anello, una catena.

Arrivano le Erinni. «Non ti straziano, stanno solo a un qualunque angolo: Quassù al terzo piano, hai abitato una volta, WAVERLY PLACE/CHRISTOPHER STREET, ventitré anni fa. Come se non lo sapessi! Non alzo neanche gli occhi dalla facciata, vedo soltanto che a pianterreno c’è un altro negozio; a quel tempo una bottega di alimentari, fetente, io disponevo di 200 dollari al mese, la casa costava 100 dollari al mese, una volta mi cadde un vaso di fiori dal davanzale e non colpì nessuno.»

(Un ricordo inutile, eppure questo è quello che resta).

LYNN: Ti chiede se conosci Donald Barthelme e ti porta su un sentiero pieno di lattine schiacciate: qualcuno è stato qua prima di voi, gli amanti nel bosco e la macchina solitaria nel parcheggio.

MAX YOU’RE A LIAR: però non ti senti A DIRTY OLD MAN. State seduti sulle pietre, c’è gente, gitanti, cercano conchiglie davanti alla risacca. Ti chiede il nome di uccelli che volano in lontananza: non sono che gabbiani, ma lo fa perché tu ti dimentichi di te stesso, un uomo troppo pesante, che indossa una camicia western non perché serva a ringiovanirti, è solo comoda.

Le togli gli occhiali e lei lo trova sleale (I NEED GLASSES). Tu passeggi su e giù, le mani nelle tasche dei calzoni: LIKE A PRISONER, dice lei, OR LIKE AN ANIMAL.

Guardi i libri che ha con sé, ma uno scrittore che parli solo di letteratura è noioso. O peggio, patetico.

(La baci e lei dice IT IS POINTLESS. Lo ripeterà ancora. Ti racconta la storia del suo matrimonio, era vergine. Come la tua prima moglie. Un appartamento, tre stanze, pianterreno con davanti un pezzetto di giardino, eravate felici, eravate a Berlino. Ad un certo punto chiami Berlino casa. Vecchie cassettiere scelte con cura, scatole di cartone sul pavimento come mobili, libri per terra. La vita col muro, un paio di amici anche di là, domenica sulla tomba di Kleist. Un freddo febbraio, l’aria leggera. Il telefono lo lasciate sul parquet. Un lampadario Judenstil, come piace a lei.)

Non è mai stato detto: I LOVE YOU: sull’amore in quanto relazione tra i sessi non ci sarebbe più niente di nuovo da dire, pensi. Eppure scrivi questo libro, ma Ingeborg Bachmann – la avverti – lei non ha davvero bisogno di leggersi questa roba.

Neanche ora c’è silenzio, la gente vista dal sedicesimo piano di un hotel: cappelli multicolori, piatti come bottoni. Quando è arrivata aveva l’aria stanca. È una città sfiancante, si sa.

MONTAUK: Ieri, venendo qui, avete parlato poco. Guidava Lynn, tu controllavi la cartina.

What are you thinking about? dice Lynn: sei contento quando non sai a cosa pensi, e quando gli spruzzi, l’acqua bassa e spumosa, la sabbia non ti ricordano nessuno. Invece vivi nella citazione: il déjà vu, il sogno, l’analogia, i matrimoni falliti, i quattro aborti, Roma, Berlino.

I suoi capelli sciolti sul cuscino, un braccio nudo pende fin quasi al pavimento; un piede spunta sotto le lenzuola.

«Come fa presto a formarsi il passato: – la figura della giovane estranea sul sentiero attraverso i cespugli, OVERLOOK, questo è stato ieri.»

I AM GOING TO MISS YOU: «Non lamentammo il fatto che io dovevo partire. Ci limitammo a vedere: i gabbiani, le barche nere con la schiuma sollevata davanti. Lynn guardò l’orologio, io staccai la mano dalla sua spalla. […] Ormai non ci restava che trovare il punto esatto dove ci si separa, e stare attenti al traffico; ci prendemmo per mano, quando dovemmo traversare l’avenue, e facemmo una corsa. FIRST AVE/46th STREET, questo era evidentemente il punto, dicemmo BYE, senza baciarci. Poi una seconda volta con la mano alzata: HI. Dopo qualche passo tornai fino all’angolo, la vidi, vidi la sua figura in cammino; non si voltò, dovette fermarsi, e ci volle parecchio tempo prima che potesse traversare la strada.»

Scrivi: IN QUESTI GIORNI NON MI DÀ DOLORE POTER DIMENTICARE E DOVER RICORDARMI.

Marco Cubeddu (Genova, 1987), ha pubblicato i romanzi «Con una bomba a mano sul cuore» (Mondadori, 2013) e «Pornokiller» (Mondadori, 2015). Scrive su diverse testate, tra cui «La Lettura» del «Corriere della Sera», «Link - idee per la tv», «Il Secolo XIX», «Panorama», «Il Giornale» e «Linkiesta». È caporedattore della rivista letteraria «Nuovi Argomenti». Vive tra Roma e Milano. «L'ultimo anno della mia giovinezza», reality letterario sulla vita di Costantino della Gherardesca, esce per Mondadori il 30 gennaio 2018.