“Come lavoro” undici anni dopo: Nicola Lagioia

da | Ott 2, 2013 | Senza categoria

Undici anni fa Nuovi Argomenti pubblicava un questionario, “Come Lavoro”, per chiedere a tanti scrittori cosa facevano, quanto guadagnavano, che contratti avevano. Nell’ultimo numero di NA si parla di soldi e risorse nella sezione “The Spending Review”. Per continuare a parlare di soldi e di lavoro abbiamo chiesto ad alcuni dei partecipanti al numero di undici anni fa di rispondere di nuovo alle domande.
Cominciamo con Nicola Lagioia. Cosa fa oggi, cosa faceva nel 2002.

1-2. Che lavoro fai? Quanti lavori fai?
Sono uno scrittore. Poi faccio l’editor per minimum fax, conduco una trasmissione radiofonica per Radio3 (Pagina3, la rassegna stampa delle pagine culturali dei giornali), sono tra i selezionatori della Mostra del Cinema di Venezia, apro le puntate per la trasmissione Rewind di RaiStoria, collaboro con giornali, riviste, periodici…

3. Quanti lavori hai fatto?
In una prospettiva steinbeckiana: ho felicemente perso il conto.

4. Puoi raccontare come hai trovato il primo lavoro, o quello che svolgi attualmente?
Il mio primo lavoro lo trovai nel 1997. Bussavo continuamente alle porte di tutte le case editrici che mi piacevano. Il primo ad aprirmi fu Alberto Castelvecchi.

5. Il tuo lavoro da quale tipo di contratto è governato?
Normale contratto editoriale per i romanzi con Einaudi (singolo libro per singolo libro. Mai firmato un contratto per due o più libri: son troppo lento. E poi cerco di non farmi mettere la data di consegna – tanto a Torino lo sanno che scrivo ogni giorno almeno 5 o 6 ore , anche 10 o 12 nei momenti migliori, lo sanno che mi massacro davanti alla pagina, che penso sempre, anche in sonno, anche mentre gioco con il gatto, al romanzo che sto scrivendo, e che se ci metto quattro o cinque anni a scrivere un romanzo è perché sono un maniaco e non perché a un certo punto mi stacco dalla tastiera, quindi ormai si fidano, rassegnati, hanno compreso che, nel momento in cui consegno il romanzo finito, lo sto consegnando comunque sempre un anno prima rispetto a quando lo consegnerebbe un me stesso minimamente rispettoso della vita fuori dai romanzi da scrivere, che gratta gratta forse non esiste). Con minimum fax ho un contratto di collaborazione (non ricordo più la formula, ce l’ho da qualche parte, lo rinnovo ogni anno). A Radio3, nonostante siano ormai anni che ci lavoro, continuano invece a farmi contratti mese per mese (il contratto – autore testi, conduttore radiofonico – dura un mese, ne firmo più o meno uno ogni tre mesi) con partita IVA (prima era un’opzione, poi un obbligo, così ho dovuto aprirmi una partita Iva, conoscere un commercialista, capire come funzionano quelle cose lì). Per RaiStoria (sempre partita IVA) il contratto dura invece 8 mesi. Con la Mostra di Venezia: contratto di collaborazione.  Con i giornali: non esistono contratti, si va pezzo per pezzo, ma il vero lavoro è il recupero crediti.

6. Questo contratto ti soddisfa?
Non lo so. La cosa che mi ossessiona di più in questo momento è capire come finire di scrivere il romanzo che sto scrivendo. Se la natura dei contratti che mi hanno fatto lavora sotterraneamente per la miglior riuscita del romanzo, allora viva questi contratti. Altrimenti no. Se i contratti precari mi irritano il necessario per farmi scrivere di controbalzo pagine meravigliose, viva i contratti precari. Se lo fanno i contratti stabili, viva i contratti stabili. Se lo fa la crisi del ’29 o del 2013, viva la crisi. Abbasso la crisi se è il contrario. In definitiva, mi sono un po’ rotto di ragionare sempre intorno a queste cose. Voglio l’avventura.

7. Se sei free lance, questa condizione ti preoccupa per il tuo futuro e casomai per quello della tua famiglia se ce l’hai?
Ho una moglie e un gatto. Negli ultimi anni non ho guadagnato male. Sono un po’ tirchio. I miei nonni erano coltivatori diretti (un soldo conservato è un soldo guadagnato). Vorrei più soldi fondamentalmente per una cosa. Affittare per 20 giorni a fine giugno una villa in Puglia con 25 posti letto e invitare gli amici. Perché, gli amici (esattamente come me) sono sempre pienissimi di cose da fare, ed è difficilissimo ritrovarsi insieme in situazioni che non siano anche strettoie lavorative, a volte anche bellissime, come fare una rivista, progettare un libro, un film, e così via. Quindi, se io affittassi questo villone con 25 posti letto e li invitassi aggratis, loro o molti di loro non si tirerebbero indietro, rimanderebbero qualche impegno (a parte Christian Raimo, che come supera il raccordo pare che muore) e verrebbero a trascorrere 20 giorni con me. In Puglia. Mi piacerebbe che il futuro fosse questo.

8. Se non vivi da solo e se la tua condizione lavorativa è comunque precaria, la cosa ha un qualche riflesso nella vita a due?
Io non ho mai tempo di fare niente di totalmente inutile. Questo è il problema, anche con mia moglie. Che stiamo sempre a lavorare. Io sto sempre immerso nel romanzo che sto scrivendo, lei bussa alla mia porta e mi dice: “quanti anni mancano?” E io: “tre”. Ci sarebbe bisogno di una vita parallela. Per fortuna questa vita parallela esiste. Per esempio: quest’estate io e mia moglie ci siamo ritrovati a un certo punto a Ponza a discutere di dischi volanti. Ecco. Vorrei, con mia moglie, ritrovarmi nel foggiano a discutere di leoni marini, cosa che già ho fatto con lei nel potentino, solo che poi mi sono ritrovato a casa a scrivere il romanzo. Questo per dire che il problema, più che la precarietà, è la vita. Non mi manca il lavoro a tempo indeterminato. Mi manca la pazzia a tempo indeterminato. La pazzia comunque nel mio caso arriva ancora ma poi scompare, questo forse il problema. Come disse il poeta? Divenni pazzo, con orribili lunghissimi intervalli di sanità mentale. E’ a quei “lunghissimi” che dovremmo prendere le misure.

9. Hai anche figli? Se li hai quali preoccupazioni hai per loro?
Abbiamo una gatta, si chiama Lunedì e sì, sono preoccupato perché la mia ambizione è comprare un posto dove dare vita a un allevamento di gatti. Ho sempre invidiato a Hemingway la famosa colonia di gatti con sei dita (o erano cinque?) per zampa. Quei gatti esistono ancora. Ci sono cioè i loro discendenti, allevati amorevolmente da non so quale fondazione , anche se hanno ultimamente rischiato (quei gatti) di essere sfrattati dalla loro dimora. L’ho letto su qualche giornale. Sarà vero?

10. Il lavoro che svolgi ti avvicina o ti allontana dallo scrivere o da altro di simile?
Il lavoro che svolgo mi allontana dall’andarmene in giro per Roma senza niente da fare. Perché (non so in realtà come faccio, con tutto quello che faccio) io do sempre precedenza alla scrittura. Scrivo quelle 4, 5, 6 ore. Poi chiudo il file e mi ritrovo con una mostruosa montagna di altre cose da fare. Quando ho finito quelle, telefono a persone a cui chiedo caritatevolmente di uscire con me (queste persone rispondono ai nomi di: Giovanna Scandale, Alessandro Grazioli, Giordano Tedoldi, Francesco Pacifico, Elena Stancanelli, Tiziana Lo Porto, Christian Raimo, Mariangela Ascatigno, Donatella Minuto, Giorgio Vasta, Mario Materia, Patrick Scholl, Mattia Carratello, Giordano Meacci…) Quelli giustamente (visto che le montagne di cose da fare fanno sì che io mi faccia vivo con ognuno, andando a rotazione, una volta ogni quindici giorni) hanno altro da fare quella sera (io telefono sempre all’ultimo momento, in questi casi) e dunque rimango spesso con un palmo di naso. Oppure mi invitano a cinema, a teatro, a una mostra (Christian Raimo ad esempio di questi tempi è ossessionato dal teatro). Ma io – che sono stato praticamente 16 ore tra libri, film, spettacoli ecc. – rivendico a quel punto, come diceva Valéry, il mio diritto a essere stupido. Invece niente, a quell’ora non c’è mai nessuno che abbia voglia di non fare niente insieme a me (pensa che Alessandro Grazioli, l’ufficio stampa di minimum fax, pur di evitarmi risponde sempre “sono a Fiuggi” quando lo chiamo, così io mi chiedo come possa stare sempre a Fiuggi la sera e la mattina lavorare in casa editrice). Ci riesco benissimo da solo, a essere stupido. Ma vuoi mettere a esserlo con le persone a cui vuoi bene?

11. Quando leggi e di conseguenza quanto?
Leggo parecchio. Non quantifico. Ora per esempio alcune belle letture in contemporanea – “Correzione” di Bernhard, “L’angioletto” di Simenon, “Lionel Asbo” di Amis, le poesie di Trakl.

12. Quando scrivi? Sei costretto a “lavorare per te” (come si dice) nei ritagli di tempo? Riesci a far questo con regolarità?
Quando non faccio la radio: la mattina, dalle 07.30 alle 14.00 (a volte prolungo fino alle 15.00/16.00). Quando faccio la radio: dalle 14.00 alle 18.30. Tutti i giorni. Sabati e domeniche compresi, a meno che non debba andare in giro per presentazioni, conferenze o a Bari perché è scoppiato qualche casino tra le mie famiglie di laggiù.

Queste sono le risposte che Nicola Lagioia aveva dato al questionario sul n. 18 della rivista (Aprile – giugno 2002):

1-3. Eh, innanzitutto scrivere romanzi. Ma le bollette continuano a pagarmele più che altro il mio lavoro di redattore, il mio lavoro di correttore di bozze, il mio lavoro di editor, il mio lavoro di consulente editoriale, il mio lavoro di scrittore per la televisione, per la radio ecc. ecc. ecc.

4. Il mio primo lavoro… Nel 1998 mi trovavo a Milano, dove stavo per avviare una collaborazione con la casa editrice Iperborea. A maggio dello stesso anno, al salone del libro di Torino, incontro l’editore Alberto Castelvecchi. Castelvecchi mi confessa: “abbiamo bisogno di un redattore”. Poi mi dice: “Perché non te ne vieni a Roma?”. Dopo due mesi sono a Roma ma la Castelvecchi è svanita nel nulla. Tra maggio e luglio si era consumata una scissione societaria che aveva portato la casa editrice a non avere più neanche una sede. Il telefonino di Castelvecchi era perennemente staccato. I vecchi soci rifiutavano persino di sentir nominare il suo nome. Così, in piena estate, mi sono ritrovato a Roma, con un monolocale già preso in affitto, senza sapere bene il perché. Dopo un paio di settimane trascorse a gironzolarmene per l’urbe contemplando il progressivo risicarsi del mio magro patrimonio senza peraltro muovere un dito per impedire la catastrofe ecco che si rifà vivo Castelvecchi. Mi telefona e mi chiede se io per caso mi fossi chiesto che fine avesse fatto lui. Lo prendo a male parole. Castelvecchi non fa una piega e dice: “Non perdiamo tempo. Oggi pomeriggio c’è una riunione di redazione”. La sede della casa editrice non c’era ancora, così ci siamo ritrovati a fare la riunione di redazione in un bar del rione Monti. È cominciata in questo modo, a tarallucci e vino, ma senza i soldi per pagare né gli uni né l’altro. Che cosa mi ha tenuto in forma in quell’estate delirante? Ma la letteratura, come al solito. Ripetevo tra me e me le parole di Josif Brodskij quando diceva: “avevo l’idée fixe di andare a Venezia. Avevo anche pensato di trasferirmi lì e di affittare un pianterreno in un palazzo sull’acqua, per passare il tempo a scrivere e a lasciar cadere le cicche di sigaretta nell’acqua per sentire il rumore caratteristico che fanno quando si spengono. E, una volta a corto di denaro, avrei speso il rimanente per qualche offerta speciale del sabato e poi mi sarei fatto saltare le cervella”. Venezia/Roma… Brodskij/Lagioia… L’equazione tornava meravigliosamente: non c’era niente da perdere: non mi poteva succedere niente.

5. Tra le case editrici per cui ho lavorato in questi anni solo la Laterza mi ha fatto un regolare contratto. Ma non c’è molto di cui sorprendersi o scandalizzarsi. Le piccole case editrici sono una bella risorsa per il nostro paese, sono vitali, coraggiose, ricche di stimoli, sono posti in cui si impara tantissimo ma sono anche sotto il perenne schiaffo della crisi, dei conti in rosso, della chiusura. Di conseguenza, quasi nessuna può permettersi assunzioni regolari e si lavora di conseguenza rigorosamente in nero. Ci vorrebbe una legge, forse, ci vorrebbero contributi, incentivi… o forse già esistono e i piccoli editori sono drammaticamente incapaci di sfruttarli. Boh… Del resto, per quanto ne so io, non esiste nemmeno (e chissà poi se dovrebbe esistere…) un sindacato che rappresenti degnamente il precariato intellettuale…

6. Il problema – vedi sopra – quasi nemmeno si pone.

7. Se uno si preoccupa del proprio futuro non si mette certo oggi a lavorare per l’editoria né a maggior ragione si mette a scrivere professionalmente…

8. Idem. Si vive alla giornata…

9. Niente figli, per carità!

10. La dimensione del part time – in cui mi trovo da più di un anno – è veramente l’ideale. La mattina si va in casa editrice, si vede gente, si lavora insieme, si chiacchiera. Poi dopo pranzo si torna a casa, c’è il computer che aspetta, ci sono (solo a livello potenziale, è chiaro) sei-sette-otto-nove ore da dedicare alla scrittura.

11. Al di fuori del lavoro di redazione riesco a leggermi un centinaio di titoli all’anno. Non so come né quando.

12. Scrivo, ogni settimana, per 30-35 ore. È sufficiente. Non vorrei scrivere di più.

Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).